Sentirsi soli

Sentirsi soli

Come é noto quasi a tutti, sono in aumento le persone che preferiscono vivere da sole nel proprio appartamento attrezzato con il trascorrere degli anni con tutti i confort, ben arredati super-tecnologizzati, piacevolmente convinti che questo tipo di scelta sia la migliore, rispetto alla convivenza. Si tratta ovviamente di persone che lavorano e possono sentirsi autosufficiente economicamente che per molti giovani non sembra così facile negli ultimi vent’anni.

Questi giovani sono i single che hanno optato per tale stile di vita. I single di entrambi i sessi, e omosessuali la cui situazione di scelta riguardo alla convivenza non sembra diversa dagli etero , quasi sempre, vivono una o più storie amorose o comunque hanno relazioni d’amicizia.

Le relazioni spesso si creano prevalentemente per ragioni sessuali, ma comunque di buona compagnia all’occasione giusta, cioè serate passate insieme, pranzi di giorno o serali, mostre, cinema e teatro, vacanze, viaggi..

Le parole inglesi alone, solitude di origine in verità latina, si distingue dalle parole espressioni, loneliness, seclusion, isolated che portano con sé un’accezione negativa di vuoto, una mancanza esistenziale di senso.

La solitudine, specialmente se i contatti sociali sono quasi assenti, può essere vissuta in modo angoscioso e terribile da alcuni, perché evoca l’idea di non contare per alcuno, di non essere validi nella vita e di non poter essere amati. Ci si sente dei mostricciatoli, degli incompresi, dei reietti dal mondo, dove le persone invece vivrebbero una vita a parte e felice.

La dipendenza dalla famiglia che spesso è stata molto protettiva ha generato in alcuni e non in altri, una sorta d’ imprinting sin da bambini, suggerendo implicitamente il messaggio che nella vita non bisogna essere mai soli e che la solitudine può essere un fallimento, un disastro. In tal modo il vissuto catastrofico è condannato.

Vediamo però che per alcune persone, vivere per conto proprio, isolarsi per un certo periodo, sembra far bene alla salute, anziché danneggiarla, struggendosi vivendo se stessi come abbandonati e puniti dal mondo.

Permette di organizzare il proprio Self di sentirsi capaci di essere autosufficienti di imparare molte attività, sia casalinghe sia di lavoro, sia di conoscenze della realtà, personale (conosci te stesso) e esterna.

Penso che dipenda dagli interlocutori interni, cioè assorbiti e inglobati al nostro interno per  via delle esperienze del passato, che ci parlano internamente in modo diverso. Alcuni suggeriscono che la nostra vita non avrebbe senso senza gli altri che ci amano. Altri invece sentono ridondare interiormente la voce del vissuto secondo il quale è bello godere del mondo e si compiacciono di poter essere liberi e di non dover rendere conto a nessuno.

Penso insomma che sperimentare di vivere con se stessi sia positivo nel senso che l’esperienza permetta di appropriarsi di sé. Il proprio senso di’identità aumenterebbe, se non sopraffatti dalle angosce fantasmatiche del passato che rievocano vissuti abbandonici.

Albert Einstein nelle sue memorie, ricorda di aver conquistato un grande senso di libertà e sicurezza vivendo per un certo periodo per proprio conto: ciò in contrasto al passato di ragazzo che temeva ogni momento durante il quale lo scienziato veniva lasciato solo in casa.

Meglio soli che mal accompagnati ! sembra tornata una sentenza attuale!

Le donne giustamente non si sentono di essere alla dipendenza totale dalla nuova famiglia, gli uomini, spesso spaventati dai rischi derivanti dalla condizione di parità con la donna, da possibili divorzi, separazioni, non vogliono perdere la mamma protettiva e preferiscono mantenere una certa indipendenza anche economica e vivere per conto proprio.

Non credo che la clausura giovi a nessuno. Gli esseri umani sono sociali e socievoli e si arricchiscono con l’affetto degli altri. Penso che l’interazione sociale giovi alla salute, non la dipendenza patologica che sopravviene facilmente, se non si hanno mai esperienze di solitudine e di conduzione complessiva della propria vita.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

2 commenti

  1. Mara

    Gentile prof. Pani,
    accolgo la sua disponibilità a ricevere domande su patologie psicologiche.
    Fin da adolescente sono sempre stata ansiosa, poi all’età di 30 anni ho avuto il mio primo attacco di panico! Ricordo ancora la data: 29 gennaio 1979!!! Un’esperienza sconvolgente: la sensazione di morire per soffocamento . Esperienza che, nei sei mesi successivi, si è ripetuta ogni giorno e più volte al giorno… Da lì la mia vita e’ cambiata notevolmente ,a causa della paura degli attacchi di panico non riuscivo ad uscire da sola: una vita menomata !!! È’ iniziato il calvario delle visite psichiatriche, dei cicli di psicoterapia, dell’assunzione di benzodiazepine fino a diventarne dipendente. Poi i disturbi di panico si sono molto diradati, ma è rimasta l’agorafobia : disturbo assai invalidante . A 55 anni sono andata in pensione ed avendo più tempo, dopo varie ricerche per voler davvero risolvere questo problema , mi sono rivolta ad uno psichiatra del San Raffaele , perché era ed è specializzato proprio nella cura dei DAP e dell’agorafobia . Quindi nel 2004 ho iniziato la cura farmacologica (Zoloft 100 e tre xanax al di’ da 1mg) e la terapia cognitivo-comportamentale che ho fatto per tre mesi sempre al san Raffaele : mi accompagnavano da Bologna a Milano per la terapia cognitivo-comport, una volta alla settimana.. Insomma, sono stata molto contenta, perché grazie agli esercizi di uscire gradualmente da sola, sono riuscita incredibilmente a riconquistare la mia libertà di uscire da sola senza paura!! Ed a fare lunghi viaggi in aereo, che io non avevo mai fatto. Nel 2009 ho iniziato a soffrire di nevralgia trigeminale , ho dovuto fare un intervento in ospedale in anestesia generale ! Non avevo mai risolto la mia fobia per l’ospedale, quindi mi è ritornato un episodio di
    panico e da lì e’ ricominciata la paura di uscire . Ho aumentato la terapia farmacologica di sempre ed ho fatto due anni di terapia cognitivo-comportamentale … Sono migliorata molto, cerco di uscire da sola tutti i giorni , assumendo prima di uscire 2 mg di xanax.. Solo con due mg di xanax riesco ad uscire da sola, ma almeno esco da sola e a volte anche con un po’ di timore, dipende dai giorni.
    La mia domanda : ho 67 anni, sono nonna, vivo con mio marito mio coetaneo , ma perché ancora questa paura della paura che mi costringe ad assumere lo Zoloft 100 tutte le mattine e prima di uscire due xanax da 1 mg?
    Grazie molte e mi scusi per il disturbo.
    Mara Pederzani

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