Accettarsi per cambiare

Accettarsi per cambiare

Quando noi ci svegliamo alla mattina ci rechiamo in bagno per prepararci ad uscire da casa dopo aver svolto la toilette necessaria e vestirci. Il nostro viso ci appare regolarmente allo specchio mostrandoci come siamo. Noi accettiamo quel che vediamo da sempre, in quanto l’immagine ci è familiare, riconosciamo il nostro volto e ci sistemiamo al meglio che possiamo.

L’accettazione del nostro viso è parte di un atto di appartenenza, sappiamo di possedere quella fisionomia e non pensiamo che si debba cambiare, (anche se la chirurgia estetica sollecita in alcuni di noi qualche piccolo ritocco con l’avanzare dell’età).

Questa appartenenza configura e si integra con la nostra identità, sapendo e accettando che non potremmo avere un viso diverso da quello che abbiamo e vediamo su noi stessi. Il nostro viso è ego sintonico, cioè è connaturato con il nostro Self.

Se invece noi non fossimo contenti di noi stessi, non soltanto esteticamente, ma del nostro reagire alle cose che ci accadono, del nostro carattere poco socievole, della invidia e vendicatività che sentiamo prevalere nel nostri sentimenti saremmo infelici. Siamo spesso orsi che si isolano, siamo spesso rabbiosi verso qualcuno, a volte scorbutici, in alcune circostanze intolleranti verso gli altri e questo ci potrebbe far vivere male.

Non possiamo pensare di migliorare se non accettiamo la condizione nella quale ci troviamo.

Se siamo in conflitto con noi stessi, cioè non ci accettiamo, finiamo per non avere lo spazio per alcun miglioramento.

Quando iniziamo ad accettarci e rispecchiamo il nostro Sé anche attraverso a tutta la nostra storia passata e della vita attuale, allora possiamo iniziare il cambiamento, verso il miglioramento che noi desideriamo perché diventiamo e padroni e liberi della nostra vita adulta.

A quel punto possiamo metaforicamente salire a cavallo e guidarlo verso dove vogliamo andare nella nostra vita.

Se invece continuiamo a lottare per ottenere un appagamento dei nostri bisogni narcisistici ci comportiamo come bambini che aspettano di aver un premio come promesso dai genitori.

Rifiutiamo la realtà nella quale ci troviamo e creiamo un circolo vizioso che si estende all’infinito negando e rifiutando quel che si può veramente fare per noi stessi.

Ci limitiamo a lamentarci a protestare o a sentire di essere delusi perché ciò a cui aspiriamo con un bisogno di perfezione non si raggiunge mai.

Ecco allora che si verifica un circolo vizioso, un conflitto tra inconscia aspirazione alla presunta perfezione dovuta all’illusione e una realtà deludente, frustrante ben diversa dalle illusioni.

Se pensiamo a un trattamento psicoanalitico, ci accorgiamo che l’accettazione di come siamo e di noi stessi, si assimila per mezzo di una coscienza che assorbe la propria identità nel bene e nel male.

Ciò che non funziona in noi stessi, non è visto attraverso la psicoanalisi come una mera malattia indesiderata i cui sintomi vorremmo estirpare desiderando il cambiamento. Questo è possibile solo dopo che ci siamo in modo sufficiente accettati nel nostro status come parte della nostra identità.

E’ facile invece che con frequenza rimaniamo intrappolati in esperienze passate di sofferenza anziché essere liberi, e quindi evitando di esplorare nuove alternative che riguardano l’esplorazione di nuovi territori verso un nuovo futuro.

Sembra quindi che senza che ce ne accorgiamo, invece di prendere atto della fisionomia di noi stessi che tiene conto di tante risorse che risiedono in noi stessi e che potremmo utilizzare con successo, ci impantaniamo pretendendo subito la gratificazione che non può mai venire.

Una parte di noi si fa del bene, ma una parte non può mai completare fino in fondo quel che vogliamo, come se avessimo paura di entrare in una nuova identità che non conosciamo e che non meritiamo.

Come ho già descritto in altre occasioni all’interno di noi stessi, in base alle esperienze d’incontri del passato, ospitiamo alcune emozioni che ci parlano dentro come interlocutori o personaggi che ci fanno del bene o che anche ci fanno del male, alimentando un dialogo conflittuale e che ci fa remare contro noi stessi in modo confuso.

Quei personaggi che ci fanno del male ci giudicano negativamente, abbassando la fiducia e l’autostima

Ci convinciamo di non essere all’altezza di certi compiti e rimaniamo vittime di una sorta di coazione a ripetere, come ci indicava S. Freud.

La nostra personalità viene riciclata continuamente al negativo e così alimentiamo la sofferenza semplicemente perché, non accettando qual che siamo, non abbiamo lo spazio per uscire dal guscio, cercando nuove vie.

Dovremmo imparare ad elaborare, magari con l’aiuto professionale, a conoscere come funziona il nostro dialogo interiore., cioè chi siamo, come funzioniamo, come agiscono gli altri nel mondo che ci circonda spesso molto e troppo tardi.

Sino allora ci convinciamo di essere sbagliati quando invece andiamo bene così come siamo, mentre soltanto abbiamo un po’ bisogno di cambiare qualcosa che ci renderebbe più autentici e coerenti con quel che siamo.

 

 

 

 

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Mi sembra un’altenativa interessante perchè, a mio parere, contrariamente a ciò che accade, a volte, nella chirurgia estetica, ma anche emotivamente in noi stessi: nel focalizzarsi su un aspetto che ci appare da modificare, disperdendo un poco una visione d’insieme, il miglioramento che nasce da un’integrazione di aspetti diversi, invece, suggerisce una concezione creativa di sè che si arricchisce nel tempo.

    In questo modo riusciamo a stupirci e ad incontrare la realtà circostante in modo più autentico?

    E a conoscerci?

    Raffaella

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