L’emozione di uccidere

L’emozione di uccidere

In letteratura e nella storia dell’umanità il gusto di uccidere è stato infinite volte osservato e considerato. Le guerre primitive, svolte dai barbari come Attila, dagli antichi Romani, come Nerone, Caligula, Claudio. Gli spettacoli che andavano in scena al Colosseo, e tutti i supplizi del Medio Evo: poi la Controriforma con il bruciare vive le non-streghe nel 600 a Salem sino a Auschwitz-Birkenau e ancora gli sgozzamenti dell’Isis, enfatizzano un singolare gusto sadico che ci ricorda che l’uomo è il peggiore tra gli animali distruttivi.

Pensiamo però a giovani di diciotto e oltre vent’anni che uccidono un coetaneo per verificare le proprie sensazioni e emozioni.

D’accordo con l’assunto che la cocaina e i cocktail con droghe possono obnubilare la mente, stimolare un coraggio incosciente, ma ricavare emozioni forti dal massacrare un essere vivente in una società civile, in una famiglia educata è indice di qualcosa di molto più patologico.

L’omicida non è solo cattivo, sadico, ma molto malato.

Si tratta di percepirsi un corpo contenitore che non contiene che vuotezza psichica e che disperatamente cerca di stare in piedi per esistere o perché si vive come già morto. Ridere , scherzare, trovare buffo il mondo, prenderlo in giro significa negare la propria inconsistenza, invidiare chi possiede un’anima che almeno soffre, perché umana.

Gli studi internazionali ci dicono che le compulsioni sono in cosante aumento nel mondo, e non solo tra le giovani generazioni. Si tratta di dipendenze psicologiche legate alla mancanza di controllo degli impulsi che nella loro coazione a ripetere, intensa e costante, diventano patologiche nel comportamento e nell’interiorità delle persone che le praticano. Da cosa dipendono? È opinione degli studiosi che il senso di vuoto, di smarrimento, di confusione sui punti di riferimento e i valori etici storicamente riconosciuti, siano legati ad alcuni presupposti storici recenti, che hanno contribuito alla formazione culturale di questa patologia: il consumismo, che ha portato a una ridistribuzione delle ricchezze, ma ha dato vita anche al bisogno di consumare; i desideri si sono via via affievoliti, specialmente nei più giovani, e la bussola di riferimento psichico si è disorientata. A questo si aggiunge il fenomeno della globalizzazione, indubbiamente positivo per molteplici aspetti, ma anche Torre di Babele per la perdita di punti di riferimento all’interno d’alcune famiglie. Internet, infine, ha sicuramente arricchito il mondo, ma lo ha confuso ulteriormente perché ha modificato le abitudini e il sistema delle comunicazione, non ancora completamente pronto per un trasformazione culturale così impetuosa.

La situazione climatica del pianeta sta diventando sempre più preoccupante. Non soltanto per il destino funesto che gli scienziati prevedono e che sembra causato dal riscaldamento terrestre, ma perché anche in questo caso i punti di riferimento non sono più attendibili. Uragani e cicloni ci minacciano con allagamenti ogni volta che piove.

Periodi di lunga siccità quando la pioggia si fa aspettare.

L’incertezza devasta ancora di più i deboli di mente che hanno spunti paranoici.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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2 commenti

  1. Raffaella Buttazzi

    L’episodio descritto mi ha ricordato quelli di lanci di massi dai cavalcavia delle autostrade da parte di alcuni giovani qualche anno fa: la vita di altre persone considerata alla stregua di birilli.

    Mi chiedo se l’insensatezza di gesti tanto efferati quanto più, forse, dettati da un profondo senso di inconsistenza e di vuoto siano in qualche modo prevedibili: in altri termini, si possono rintracciare campanelli d’allarme?

    O meglio un grido d’aiuto?

    Raffaella

  2. Raffaella Buttazzi

    La domanda nasce dal racconto di un compagno di classe, alle scuole medie, che durante un ritiro sportivo, eccelleva infatti in quel campo: pensererei pur dovendo e volendo in parte riferirsi ad alcuni valori insiti nella pratica sportiva, passava le serate tirando frutta ai passanti anziani dalla finestra della propria stanza.

    Il colpire i malcapitati e vedere la loro reazione era per lui una alternativa alla noia: come poterlo eventualmente leggere psicologicamente?

    Raffaella

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