Terrorismo e morte

Terrorismo e morte

ll primo movimento che teorizzò l’uso della lotta armata per ripristinare lo stile di vita ortodosso dei primi fu quello de Fratelli mussulmani Il movimento che nasce nel 1928 si diffuse rapidamente in Siria, Giordania e Sudan  e, alla fine degli anni quaranta gli appartenenti contavano circa quasi cinquecento persone.

Lo stato dell’Isis (IS) raccoglie oggi un numero infinitamente più grande e molte persone giovani, poco più che adolescenti, sembra che si uniscano nella guerra con grande fervore contribuendo a consolidare il movimento islamico della morte. I giovani provengono da tutto il mondo islamico, arabo, ma anche europeo e occidentale in genere. La maggior parte di loro, dopo serio addestramento militare, sono propensi al sacrificio, al suicidio cioè, sono disposti a farsi saltare in aria per mezzo di cinture che contengono esplosivi: più miscredenti, uccidono tramite le esplosioni, maggiormente i mussulmani fondamentalisti si guadagnano con la loro morte il paradiso promesso.

Per gli occidentali, è incredibile che esistano tanti giovani persone che sentano il proprio esistere come provvisorio e siano tanto fiduciosi di andare ad abitare in paradiso, tanto da precipitarsi verso la morte, disprezzando la vita.

Si stupiscono maggiormente quando apprendono che molti di quei giovani sono nati, cresciuti e dopo aver studiato in qualche Paese europeo, vicino a molti di noi.

Se guardiamo la storia, apprendiamo che qualunque religione, a cominciare da quella Cristiana aveva il potere di aggregare molta gente e di promettere loro l’appartenenza e quindi una sorte di identità a chi non la possedeva adeguatamente. Lottare per una causa offre almeno un punto fermo a chi non ce l’ha chiaro.

Le guerre di religione sono sempre state assai sanguinose, proprio perché la posta era alta e contemplava il senso d’identità personale da conquistare.

La storica globalizzazione del pianeta, se da un lato ha promosso l’idea di un mercato allargato sia economico sia con stimoli culturali differenti tra loro, ha stimolato al nuovo, alla conoscenza delle lingue, ecc, ma a vantaggio solo di alcuni quelli che hanno aumentato le opportunità, le ricchezze, i capitali, ma hanno lasciato fuori molti giovani che sono rimasti soli e confusi.

Mi sembra che solitudine e confusione, abbiano aumentato la diffidenza, la sfiducia, e la rabbia.

Quei giovani abbandonati dai governi delusi dalla caduta di speranze, e dalla povertà si sono nascosti negli ultimi trenta anni negli stupefacenti di ogni tipo, alcuni molto pesanti dai quali non si torna indietro.

Negli ultimi anni le compulsioni psicopatologiche si sono diffuse come le mosche e oggi, mi domando, come ipotesi se la guerra armata e suicida, non sia un nuovo modo di esistere nel vuoto della propria anima?

Il vuoto è desolante, sconcertante, demotivante, fa sentire di non contare nulla, cancella l’identità.

Uccidere, sacrificarsi, esaltarsi per una causa di conquista e di grande dominio promette ad alcune deboli personalità la gloria e il paradiso, in altre parole di contare qualcosa!

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Qualche tempo fa una amica, che ha più volte visitato Paesi islamici, geograficamente molto vicini all’Italia, mi raccontava come, nella sua esperienza di viaggiatrice, abbia potuto notare quanto, per esempio, molte donne,( in Marocco), non utilizzino vesti timicamente islamiche, quali: velo e abiti piuttosto larghi, ma anzi indossino una moda piuttosto occidentale.

    La scelta del proprio abbigliamento parrebbe, poi, invertirsi significativamente quando alcune di queste donne anche giovani e relativamente colte, per ragioni di studio o lavoro, arrivano ad abitare in Paesi occidentali: mi domando se questa scelta, possibilmente senza cercare generalizzazioni, non sottolinei una ricerca di appartenenza dinanzi a una identità, che, come evidenziato nel post, si sente molto fragile?

    E ancora: se la fragilità emotiva è tanto pregnante nel quotidiano del proprio vestire, mi chiedo cosa possa muovere emotivamente in contesti più articolati e forse complicati?

    Raffaella

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