Invidia  rabbiosa

Invidia rabbiosa

C’è un’invidia umana e sana che assomiglia all’emulazione, all’ammirazione di chi noi consideriamo superiori e degni di stima.

Si può dire invece che l’invidioso psicopatologico non cammina con le sue gambe, perché è come se percepisse che una madre cattiva non gli avesse donato ciò che era necessario per vivere. autonomamente, non gli avesse offerto il necessario nutrimento, gli avesse fatto mancare qualcosa di importante e così lui/lei avesse qualcosa in meno degli altri.

Egli soffre non tanto per ciò che altri possiedono, ma sopra tutto perché egli li vede fortunati e contentii proprio quando s’accontentano di poco. E’ come se la madre arcaica non avesse donato loro la capacità di essere felici come la capacità di vivere.

Apparentemente sembra che lui/lei invidi l’oggetto che non possiede, ma l’invidioso vorrebbe, più che possederlo, che l’altro non ce lo  abbia,  distruggere la sua felicità e non vedere che l’altro, il fratello o sorella simbolica possa essere contenta. Le emozioni positive dell’altro /a fanno star male l’invidioso che cerca di difendersi sentendosi superiore, negando in altre parole la sua debolezza.

Melanie Klein psicoanalista inglese degli anni quaranta aveva stupendamente messo a fuoco il concetto di invidia. La fonte dei suoi scritti riguarda principalmente il testo Invidia e Gratitudine

Nei suoi lavori si legge che l’invidia deriva da una pulsione aggressiva mortifera che già si osserva nel neonato durante i primi sei mes di vitai. Il neonato a livello sensoriale percepisce il seno materno ricco di nutrimento e di piacere per lui stesso e cosi, sperimentando l’assoluta dipendenza lo invidia. Le fantasie o fantasmatizzazioni aggressive hanno la prevalenza in lui/lei e il bambino fantastica di distruggere la causa della sua dipendenza, anche se questo emozione o eventuale atto non gli gioverebbe affatto.

In altre parole, anche l’adulto, osservandolo in maniera metaforica, quando scatta in lui/lei  l’emozione dell’invidia per qualcosa che vorrebbe avere, ma in particolare, s’accorge che l’altro possiede con gioia quel di cui lui come invidioso non può godere, mentre vorrebbe possedere, sia inconsciamente, sia consapevolmente: per questa ragione gli si accanisce contro, alla vista della sua felicità. L’invidioso fantastica a volte di  veder distrutto l’oggetto invidiato, oppure s’accanisce contro la gioia dell’altro che egli immagina come se equivalesse a felicità assoluta che in maniera delirante, l’invidioso non può avere per sé.

Si tratta naturalmente di un vissuto di tipo persecutorio, perché non si sa se l’altro sia felice.

Pur essendo sostanzialmente d’accordo con M. Klein, ho osservato che non è l’oggetto desiderato a essere distrutto dall’invidioso, ma l’invidia distruttiva, quella patologica, mira negli invidiosi ad annullare il presunto piacere dell’altro in quanto tale. Non voglio vedere che tu possieda quel che io non posso possedere!  Non posso sopportare che tu sia felice e io infelice, che io pur essendo migliore di te sia impotente e che tu riesca a non accorgertene e quindi a godere di te stesso !

Ad esempio se una persona invidiosa considera non molto intelligente un’altra persona, oppure esteticamente sgradevole ecc. ma la/o vede gioire per quel poco che possiede, magari nel caso femminile, per un fidanzato oppure fidanzata, o apprezzare un dolce non considerato buono e malfatto dal pasticcere, scatta l’invidia distruttiva perché l’altro mostra di essere felice e di accontentarsi. E’ come se fantasticasse: ma come … tu che sei così misero, ti accontenti di nulla,  sei felice, beato te, mi fai rabbia !

Per Dante Alighieri l’invidia è la base di tutti i peccati dai quali altri prendono forma. Dante nella Divina Commedia, colloca nell’Inferno gli invidiosi, immagina che gli  acidiosi subiscano come pena l’avere gli occhi cuciti con il fil di ferro, cosicché non possano più guardare con occhi malevoli le gioie altrui! In-vidia vuol dire  in-videre, guardare con cattiveria.

L’invidioso gioisce infatti delle disgrazie dei suoi simili e soffre per le loro felicità.

L’invidia si costruisce da un’emozione di mancanza: l’invidioso non è mai felice perché è come se fosse indegno di possedere quel che gli altri ottengono naturalmente, come se una mamma donasse a priori cose buone di dall’inizio.

Per l’invidioso la felicità suona in lui come un dono conquistato senza merito.

L’invidioso è convinto che le altre persone siano più fortunate, e premiate senza alcuna ragione e merito.

L’invidioso sperimenta che ciò che è vantaggioso capiti solo agli altri che sono stimati, valorizzati e hanno tante amicizie e amore.

L’infanzia forse ha illuso su tanto della vita che si avrebbe potuto godere, mentre il mondo è sembrato all’invidioso una vera amara disillusione.

C’è nell’invidioso molta depressione alla base, perché egli sperimenta in fondo, anche se spesso camuffato da presunzione, un senso d’inferiorità, di piccolezza, di esclusione dai gruppi coesi.

L’invidioso sente di non aver  stoffa, né sostanza per avere la vita che desidera, al contrario degli altri che si vantano dei loro successi e dell’amore ottenuto senza sforzo.

C’è in lui molta rabbia a volte espressa, a volte sotterranea pronta a balzare fuori per un nonnulla.

Occorre comprendere che l’invidioso anche se ci fa del male va compreso nel tener presente che deve aver molto sofferto per comportarsi in tale modo.

Non bisogna essere buoni , nel senso di mostrare di offrire l’altra faccia della guancia se l’invidioso ti ha dato un grosso schiaffo. In tal modo l’invidioso si arrabbierebbe ancora maggiormente. Direbbe: se sei così buono e comprensivo , ti odio di più perché vuol dire che superiore e sei felice

Si tratta di non dare importanza e cambiare discorso portanto l’argomento su discorsi allegri e valorizzare gli aspetti che nell’invidioso sono positivi valorizzandolo, offrendogli il senso dell’identità che non ha.

Non è sempre facile quindi a volte, occorre rispondere pan per focaccia.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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3 commenti

  1. Raffaella Buttazzi

    Non ritengo di essere una persona invidiosa e allo stesso tempo riconosco che un percorso analitico in questo senso aiuti molto.

    La mia impressione è che chi invidia perda di vista le proprie risorse e si richiuda emotivamente in un tristissimo mologo con se stessa in una visione assoluta di ciò che è piacevole dove la rabbia diventa inutile.

    Se mi capita,poi, di confrontarmi con una persona invidiosa cerco di accoglierla emotivamente senza infierire, cambiando discorso, ma a volte è faticoso come una richiesta inesauribile apparentemente?

    Raffaella

  2. Francesco

    E’ anche vero che l’invidioso-che sa di essere tale-oltre a soffrire dei successi altrui e gioire delle loro disgrazie, tende a contagiare gli altri con la sua “malattia”: fa di tutto per farsi invidiare ma molto spesso non ci riesce affatto e ciò aumenta ulteriormente la sua rabbia e frustrazione.

    Francesco

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