L’angoscia di morte non è depressione

L’angoscia di morte non è depressione

La depressione della quale ho già accennato in diversi post, non corrisponde necessariamente all’angoscia di morte. Né penso che l’angoscia di morte s’identifichi soltanto con la paura di morire.

La paura di morire attiva un senso di perdita di se stessi, della propria identità e di tutto ciò a cui siamo affezionati. La speranza di molte persone consiste nel ritrovare e non perdere ciò che è importante in qualche luogo di una dimensione dell’universo o di sopravvivere entro un altro corpo tramite la reincarnazione.

Come diceva Epicuro, tra i primi medici della storia greca insieme a Ippocrite e Esculapio: le malattie, se sono croniche, ci si fa l’abitudine, se non lo sono, si guarisce. Se sono mortali, la morte non si deve temere, perché quando ci siamo noi, non c’è la morte, quando c’è la morte, non ci siamo più noi. L’atto del morire, descritto da molti autori (Kubler Ross in particolare) è un’altra faccenda, perché indica il come la nostra scomparsa avverrà. Ciò genera in noi una certa preoccupazione.

Lo psicoanalista Bion, riteneva che con il concetto di gruppalità non il gruppo di persone, ma in particolare, uno stato mentale denominato dall’autore, assunto di base e che riguarda un sistema proto-mentale: si tratta di uno stato indifferenziato, dove corpo-mente sono percepiti come un tutt’uno.

Si ha a che fare con un sistema affettivo primordiale, sia grezzo, sia indeterminato che Bion definisce condizione beta. Il pensiero che risulta dagli stati beta, non é stato, né può essere metabolizzato o metabolizzabile in futuro, quindi è inutilizzabile, perché si tratta di una condizione di pensiero destinata solo a essere espulsa. Il pensiero beta è percepito da Sé e altri ingombrante e conduce a rigettare ciò che è ingombrante e inutile, a diventare un atto impulsivo, messa in atto, senza scopo, né senso, agito senza mediazioni e soprattutto, un pensiero privo di senso: Beta insegue solo il bisogno urgente.

Gli elementi beta, tendono a svanire e vanno verso l’oblio. Sono in contrapposizione agli elementi alfa che rappresentano il contrario, rispetto a quelli beta, nel senso che gli elementi alfa sono invece ben metabolizzati, pieni di senso e di valore, utili elementi di sviluppo e di crescita del pensiero e della creatività.

In altre parole, penso che gli esseri umani abbiano la necessità di dare un senso, valore alla loro vita, investendo su interessi di vario tipo: il lavoro, possibilmente interessante o comunque per chi lavora, che l’attività lavorativa abbia uno scopo e un senso, produca coinvolgimento e anche affetti apprezzabili. Le passioni si rivolgono verso varie attività che risultano parallele, sufficientemente gratificanti, ed esiste nel soggetto una sorta di spiritualità umanizzante, e tanto altro.

Penso che l’angoscia di morte rappresenti solo a tratti un nucleo di vuoto psichico, scavato dal non senso, che la vita biologica e psicologica ha riservato per l’individuo, di solito anche molto intelligente e colto.

Freud parlava di prevalenza della pulsione mortifera su quella libidica, ma non ho mai condiviso il suo pensiero. Il grande autore aveva la preoccupazione di integrare la fisica ottocentesca deterministica con la biologia e poi con i processi psichici, ma l’ipotesi di pulsioni vita-morte, lo avevano portato a un dualismo dal quale non poteva più uscire.

Più che di pulsioni biologiche , parlerei di un problema del Sé , della propria immagine, cioè narcisistico.

Gli intellettuali, forse perché molto consapevoli, ma non solo gli intellettuali, sono insediati da un virus che si chiama inettitudine a causa del loro inconsapevole perfezionismo, ma sappiamo che loro, non sono certo inetti!

Non c’é amore o amicizie convincenti, che la solitudine come sensazione, possa prevalere nei contatti con altri, insomma gli obiettivi che il soggetto ipotizzava, anche inconsciamente in virtù dell’illusione, sono spesso per decadere. La vita sembra che non abbia senso ma si è costretti a viverla.

Il vuoto e l’assenza per Bion rappresentano la condizione iniziale di ogni essere umano: il vuoto genera frustrazione che a sua volta rimanda all’assenza, ma per fortuna, dal vuoto e assenza si creerebbe il pensiero, cioè la capacità di pensare elementi alfa, cioè quelli ricchi di senso e quindi digeribili e utili alla vita, anche se gli elementi beta non mancano mai.

II vuoto rappresenta così per Bion il prerequisito generico, sia della competenza positiva a pensare simbolicamente, sia del rischio di trovarsi all’interno di uno stato negativo di assenza o di non esistenza.

Uno stato che può assomigliare a quello psicotico, ma si differenzia per la capacità elevata verso il pensiero simbolico, abilità a mentalizzare, per simboleggiare le cose e i discorsi.

Si crea così un circolo vizioso, perché la parte nucleare indifferenziata, quella bloccata, disattiva l’apparato mentale, quello che sarebbe in grado di vivere con scopi, con entusiasmo e investimenti psicologici e dare senso alla propria vita. Il senso di solitudine e di abbandono diventa costantemente angosciante e spinge a non sentire e a essere sopraffatti.

L’invecchiamento non aiuta perché porta a sentire di non poter recuperare quel che si vorrebbe e mentre le prospettive diventano sempre più chiare e l’angosciato, nonostante i successi già ottenuti, non vede speranze concrete.

L’angoscia di morte, per quanto diffusa e descritta da tanti autori, non è facilmente comprensibile per chi non la prova.

Mi sembra che se il soggetto può trovare colui che sa ascoltarlo e appunto, comprenderlo profondamente, sia per lui d’aiuto.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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