Qual é il periodo di vita più felice?

Qual é il periodo di vita più felice?

Si è da tanto tempo detto che la vita comincia a quarant’anni, recentemente si è passati a cinquant’anni, oggi spesso si parla addirittura di sessanta?

Penso che il periodo di vita più godibile sia quello durante il quale si è raggiunta una buona capacità di dirigere i propri interessi con una buona padronanza di Sé, in armonia con la propria salute fisica.

Se, anche a sessanta’anni, abbiamo conservato una buona forma fisica, magari anche estetica e al tempo stesso, sentiamo di aver compreso buona parte di come noi siamo e funzioniamo, allora ci sentiamo nel complesso sufficientemente soddisfatti. Saremo fiduciosi verso il futuro e contenti di quel che abbiamo ottenuto dalla nostra attività, ecc , Quello e da quel momento in poi, sarà il momento più felice della nostra vita.

Il momento potrebbe essere sentito a quarant’anni.

In genere a cinquant’anni, anche se a quell’età, per ragioni contingenti, potremmo cominciare a sentirci ipocondriaci, con la preoccupazione cioè di ammalarci .

Sigmund Freud era già preoccupato e un po’ ipocondriaco, a quarant’anni. A quel tempo però la conoscenza della medicina era decisamente inferiore a quella dei nostri giorni mentre oggi l’aspettativa di vita è decisamente cresciuta. I quaranta del 1900 sono i cinquanta del 2016.

E’ strano che il momento ipoteticamente migliore della nostra vita corrisponda anche al momento dell’insorgere di tanti dubbi e anche ansie. Ma questa insicurezza non è quella del giovane che è ai suoi tempi un contenitore mentale parzialmente da riempire di esperienza.

Potrebbe assomigliare all’insicurezza che ha il medico proprio perché conosce le malattie e per questo le teme, ma complessivamente chi conosce é più sicuro di prima, cioè di quando non conosceva affatto le malattie ed era in balia dell’ignoto.

Una ricerca dell’Australian Institute of Family Studies sostiene: la vita in realtà comincia a 50 anni, non a 40. Si ipotizza che a 15 anni si sia piuttosto spensierati, ma la spensieratezza si abbasserebbe repentinamente verso i 20 sino a trentacinque anni.

La ricerca continua sostenendo che dopo i cinquanta anni, il livello di ottimismo ricomincerebbe a salire stabilmente, fino a raggiungere il massimo sino a quasi alla fine del’esistenza, purché si mantenga buona salute, relativamente all’età.

Negli anni Settanta, gli studi sulla condizione dell’umore, dell’armonia con se stessi e con il mondo, renderebbero noto che il grado di felicità di un Paese non avrebbe nulla a che fare con gli indici della ricchezza pro-capite.

Negli anni Novanta, l’economista britannico Andrew Clark esaminò dieci mila individui e pensò di esser riuscito a isolare il nucleo della intima soddisfazione di ogni essere umano, ovviamente da un punto di vista statistico, seppur per la verità impreciso. Il senso pieno della vita non sarebbe, secondo lo studioso, dovuto al lavoro o al benessere economico, nemmeno lo stato di genere maschile e femminile, di essere single o sposati, con o senza figli conterebbe molto.

In effetti se si osserva il comportamento della gente nei vari Paesi, si direbbe che tutte le persone ridano e sorridano e piangano con la stessa frequenza, indipendentemente dalla condizione economica e da altre varianti.

Sarebbe l’età mentale, spesso coincidente con quella anagrafica, la condizione che offrirebbe il piacer di vivere. La prima parte della vita e anche la seconda sino a cinquanta anni, sarebbe un po’ triste, ma dopo i cinquant’anni, si prenderebbe a migliorare sino a raggiungere un’estasi esistenziale.

Joseph Stiglitz, nel 2001 premio Nobel per l’economia, pensa che quando si è giovani si subisca l’ansia di divenire, di realizzare certi sogni, ma ci sia incertezza sulla realizzazione di questi.

Con il trascorrere degli anni, pensa lo scienziato, alcuni punti di riferimento diventerebbero tanto stabili quanto costanti. Si può in tal caso camminare su un livello professionale ben raggiunto, su una sicurezza negli affetti nel bene e nel male, ma sempre con maggior accettazione e con minore dubbiosità. A quel punto l’essere stabile fa si che ci si senta meglio e si riprenda a camminare con più decisione e convinzione.

Penso che se l’età dell’oro si raggiunge dopo i cinquant’anni per uomini e donne, lo si deve alla abilità acquisita di raccogliere il senso delle esperienze già avute, anche se non è proprio di tutte le persone. L’invecchiamento porta molte persone a temere di perdere potere, il senso di Sé e dell’identità.

I successi professionali contribuiscono molto alla formazione di una propria identità.

Gli affetti consolidati, laddove è possibile, sono fondamentali anche se si decide di rimanere single.

La propria autonomia è fonte di grande soddisfazione e lo è ancora di più, se eventuali figli se ne vanno per la loro strada mostrando indipendenza.

E la prospettiva della vecchiaia? Si tratta di una fase delicata; oggi si parla di quarta età che va dai settanta cinque anni sino a novanta cinque, cento. Gli ultracentenari che sono sempre pochi giungono persino a centoventi anni. Biologicamente non si potrebbe superare quell’età comunque, anche lo studio del DNA potrebbe portare a modificazioni inaspettate.

Alcuni grandi vecchi diventano, con il crescere degli anni, maggiormente orgogliosi di se stessi, come se sentissero di essere stati premiati dalla natura, perché avessero saputo investire bene nei loro anni precedenti, per ciò che hanno prodotto, e per la loro stessa robusta salute fisica.

Pensate che io sia troppo ottimista?

C’è nei vecchi una nuova luce sulla quarta età che ne evidenzia i vantaggi e le opportunità.

Ci possono essere gioie segrete di un passaggio, degli anni che possono diventare, con le dovute accortezze, i migliori della nostra vita. Lo dice anche Ekmekcioglu, docente di fisiologia all’Università di Vienna:, ci spiega le ultime scoperte in campo medico e scientifico a proposito del codice genetico.

Penso però per chi non può permettersi una lunga vita in buone condizioni fisiche, come diceva Epicuro, bisogna pensare che se c’è la morte non ci siamo noi, se ci siamo noi non c’è la morte, quindi tale fantasma non lo incontriamo mai.

Epicuro aggiungeva: le malattie o sono croniche e allora noi ci adatteremo ad esse, se sono acute e parziali guariremo. Gli dei non ci puniscono, quindi evitiamo di soffrire perché ci sentiamo in colpa! Gli dei non si curano di noi mortali, la vita va avanti perché loro ci attraggono a sé.

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
__________________________________________

E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Penso di poter riconoscere che gli anni più belli. per me, siano quelli che sto attraversando ora, le motivazioni sono molteplici tra cui: una maggiore consapevolezza in vari ambiti della vita, un’istruzione ed una formazione che ho scelto e che mi rappresenta, una consapevolezza del cuore: cioè dei sentimenti in amore come nelle amicizie, ed in particolare uno slancio verso esperienze nuove dove vissuti personali affiancano sinceramente la curiosità.

    Forse una caratteristica che rende più felice un momento nella vita piuttosto di altri è quando si riesce ad essere e mantenersi curiosi, perchè nulla viene dato per scontato, ma molti desideri sono come probabili?

    Un poco come quando, personalmente, si era bambini e le sorprese rendevano gioiosi?

    Raffaella

Rispondi

WP to LinkedIn Auto Publish Powered By : XYZScripts.com