Il cinema e la psicoanalisi

Il cinema e la psicoanalisi

La psicoanalisi ha avuto molto contatto empatico con il cinema e con la letteratura, l’arte di ogni genere inclusa la musica. I registi dei vari film nel dirigere una storia, un copione, creano condizioni psicologiche assai interessanti creando dinamiche che riproducono situazioni verosimili per la l’osservazione psicoanalitica. Il primo a notare ad accorgersi di questa similitudine inconsapevolezza dello scrittore Jensen fu proprio Freud che nel 1906 che scrisse Deliri e sogni nella Gradiva di Jenson dove appunto segnala la convergenza inconsapevole dello scrittore con alcune dinamiche psicoanalitiche.

La rappresentazione della tecnica psicoanalitica nei film anche di registi di valore è risultata fallimentare. La psicoanalisi appare finta, burlesca, inutile, non curativa, il paziente si sfoga e si aspetta dei consigli, lo psicoanalista appare distratto, spesso ridicolo lui stesso.

E’ infatti comprensibile perché il cinema deve attrarre e spesso ridicolizzando quel che apparirebbe noioso, cioè il dialogo tra paziente e analista che di per sé, visto dall’esterno, sembra insignificante.

Quel che non si vede nella relazione sono le emozioni che nella realtà passano interiormente da psicoanalista a paziente e viceversa. Il regista non può riprodurle, se non rendendole grottesche.

La relazione interpersonale e intrapsichica tra i due protagonisti della scena analitica permette che i due attori meta comunichino secondo un linguaggio che è simile a quello onirico e non affatto logico o cognitivo comportamentale.

Mi viene in mente un’eccezione di un film visto oltre dieci anni fa che alcuni di voi ricorderanno. Si tratta di The Sixth Sense, Sesto senso film del 1999 diretto dal regista indiano M. Night Shyamalan

  • Malcolm è uno psicologo dell’età evolutiva molto stimato interpretato da Bruce Willis.

Una sera in cui lo psicologo è a casa con la moglie per leggere la targa onorifica che la città di Filadelfia ha voluto regalargli, dal bagno arriva un rumore. Vincent, da bambino grave psicotico, e paziente del dottore, oggi adulto, ritiene di essere stato curato male e vuole vendicarsi. Estrae una pistola, spara a Malcolm e poi a se stesso.

L’autunno seguente Malcolm viene interpellato per curare il piccolo Cole di nove anni, ossessionato da spaventosi fantasmi che gli compaiono di notte e all’improvviso. Dopo una inibizione iniziale, Malcolm acquista la fiducia di Cole che gli confida ciò che gli accade e le sue sensazioni: sia quando è fuori sia quando è a casa. A Cole compaiono anime tormentate di già morti che gli si materializzano accanto.

Lo psicologo segue il bambino per molte sedute durante le quali Cole racconta ciò che gli succede: le anime dei morti che gli compaiono non possono andare in pace se sono state uccise violentemente e ingiustamente e Cole ha la sensibilità di cogliere il loro dolore e così gli viene chiesto di fare da intermediario riferendo alle persone vive l’ingiustizia della loro morte violenta a causa di qualcuno che i parenti vivi conoscono, ma non sanno l’accaduto. Nel film si vedono vari esempi. Solo così queste anime potranno andare in pace.

Lo psicologo Malcolm comprende la situazione e riesce ad aiutare il piccolo che a riesce superare il trauma dei fantasmi e racconta persino alla madre spaventata la propria estrema e particolare sensibilità.

Una sera Malcolm va in un ristorante dove vede la moglie triste e taciturna, le parla tanto ma lei non risponde e non partecipa alla conversazione.. Marito e moglie sono addolorati per qualcosa che suona come un lutto reciproco.

La psicoterapia di Cole è finita e come ultimo messaggio il bambino aiuta Malcolm, facendogli capire che lui stesso è morto: infatti nessuno può vederlo, se non il bambino stesso. Malcolm non può come anima, andarsene libero e così è rimasto sospeso perché, anche lui è stato ucciso violentemente e ingiustamente. Il paziente Vincent infatti era psicotico irrecuperabile.

Malcolm torna dalla moglie mentre dorme e le parla. Sembra che lei comprenda nel suo sonno le parole d’amore pronunciate in bisbiglio dall’ex marito, Malcolm.

Il film finisce con un senso di addio sereno.

In questo caso, il regista sembra comprendere che soltanto Malcolm, che è lui stesso morto, è stato in grado di aiutare il bambino, perché anche lui apparteneva allo stesso mondo dei morti uccisi violentemente e ingiustamente. Malcolm cioè era sullo stesso piano, sia del bambino che aveva questa sensibilità di captare e così mediare, sia dello psicologo che era anche lui sullo stesso piano delle anime.

Lo psicoanalista funziona infatti come intercettatore dei fantasmi del paziente per addolcirli e risolverli.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    In effetti, ho fatto esperienza di come il cinema sia un’arte composita, capace cioà di tradurre il linguaggio emotivo, declinandolo in molte angolazioni, proprio poichè ognuno di noi, ritengo prediligga una formazione specifica e la cinematografia riesce, a mio parere, a farsi ascoltare in ambiti diversi, ma in maniera significativa.

    Mi viene in mente come nelle altre arti il passaggio verso l’emotività e forse anche l’emozione più personale sia un poco più criptato o meglio mediato da un vocabolario specifico, ad esempio: nelle incisioni su lastra le parti incise restaranno sorprendentemente chiare rispetto al resto, il cinema invece è in qualche modo più semplice e non più facile nel comunicare?

    Raffaella

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