Quanto è utile sentirsi in colpa?

Quanto è utile sentirsi in colpa?

Il senso di colpa fu considerato da S. Freud nel lontano 1923 (l’Io e L’Es) come l’espressione psichica dei dettami del Super-Ego.

L’apparato psichico semianatomico era concepito in modo strutturale e vedeva l’Es o l’id, il terreno di nessuno, dove abitavano le pulsioni biologiche che chiedevano all’Ego, protagonista simbolico del sistema nervoso centrale, gratificazioni secondo il principio primario del piacere.

L’Ego doveva gestire anche le normative complesse della realtà esterna , il NoN-Ego.

L’Ego, regista delle nostre azioni, pensieri, fantasie doveva essere il comandante in capo e accomodarsi con il Super-Ego, espressione della coscienza, dell’etica del processo di civilizzazione.

Il super Ego però nel Disagio della civiltà del 1929 dice Freud, implica effetti collaterali: la colpa , l’angoscia e la costrizione di essere sottomessi e imprigionati moralmente nel subire quindi divieti che limitano la libertà di esprimere i propri bisogni pulsionali, ma se il Super Ego è severo e a volte sadico, sono sostanzialmente i doveri a essere in primo piano.

  1. Freud scrive che essere costretti a subire gli ordini di un dittatore sarebbe per l’essere umano meno grave e angoscioso delle restrizioni del Super-Ego perché, prima o po,i il popolo si ribella e la massa dei cittadini può liberarsi dalla oppressione attraverso una rivoluzione sociale. Molto difficile per Freud appare quindi la gestione del Super-Ego perché tale interlocutore è stato da noi interiorizzato tramite la figura del Padre padrone, al quale dobbiamo una severa obbedienza. L’angoscia che deriva da tale imposizione genera probabilmente nevrosi, che può esser eliminata attraverso il lavoro psicoanalitico.

Freud ritiene che quando il bambino diventa adulto, sia faticoso per l’Ego mediare con il Super-Ego e ridimensionarlo per un po’ di libertà a causa delle prepotenti pulsioni biologiche che possono richiedere appagamento perverso e a causa delle severe normative della realtà civile e regole esterne. In compenso per fortuna, quando si è bambini, durante la situazione edipica. il Super-Ego appare un interlocutore inconscio utile, perché esercita una funzione di grande utilità nel piccolo la coscienza tra bene e male, il senso della morale, dell’educazione e della civiltà.

L’uomo adulto però è infelice perché risente della potenziale e fantasia di una simbolica evirazione che accompagna tutte le sue azioni e deve combattere sempre con questo timore per essere libero. La società imperniata di morale e di leggi severe costringe l’uomo al senso di piccolezza, di prigionia e d’impotenza.

Penso che se per Freud gli interlocutori dell’Ego con cui accomodarsi si sintetizzano in tre: le prepotenti pulsioni, le normative della Realtà esterna e il Super-Ego, per me vanno considerate molte altre che lavorano nel nostro mondo interno.

Gli interlocutori interni, cioè le istanze psichiche che possono armonizzarsi tra loro, oppure confliggere interiormente e quindi con-fondere l’Ego: tali istanze corrispondono alle principali emozioni che si sono costruite durante la nostra evoluzione sin prima della nascita. I vari incontri con le persone, con tutte le coloriture emotive delle varie situazioni esperienziali producono voci che ci parlano dentro senza che ce ne accorgiamo, se non nelle situazioni di grande psicopatologia nell quali le voci si sentono come se fossero reali. Tali voci vanno costituire normalmente il vissuto che noi abbiamo delle cose del mondo esterno.

Penso che sentirsi in colpa sia utile, quando inconsapevoli o meno, non ci accorgiamo di danneggiare qualcuno. La colpa che le persone avvertono, per quanto dolorosa, aiuta a fare attenzione a rispettare l’ambiente sociale ecc.

Si può notare però che spesso qualcuno dichiara di sentirsi sempre in colpa per qualunque atto che compie. In molti casi non si tratta di colpa, ma di deresponsabilizzazione.

Se mi comporto in modo inadeguato, anziché rendermene conto e affrontare chiedendomi perché tale comportamento accade a ripetizione, mi sento in colpa e lo dichiaro continuamente. Questo evita di cercare in me di rappresentarmi in modo adulto le cause, e così continuerò a autoaccusarmi sentendomi in colpa senza cambiare niente e per giunta angosciandomi inutilmente.

Di fronte a una conversazione qualunque o anche impegnativa, molte persone al fine di nascondere la loro insicurezza e fragilità davanti a chi considerano autorevole o di fronte a qualche difficoltà nella conversazione durante il lavoro, lo studio, gli esami, dichiarano frequentemente di sentirsi in colpa!

In colpa per cosa ? Si domanda, e loro rispondono: non so …non so.

La colpa diventa un capro espiatorio a cui si fa riferimento per manifestare un disagio qualunque, un imbarazzo, una timidezza. In tal modo non si va avanti e non s’individua il problema?

In questi casi mi sembra che queste persone che si autoaccusano genericamente di essere in colpa, evochino un’autorità paterna o anche materna per dichiarare di essere rimasti piccoli e incerti su ciò che desiderano.

Queste persone evocano un punto di riferimento che è la stessa colpa e una relazione asimmetrica che indica sottomissione e non ricerca adulta di come si funziona: l’interlocutore sembra che sia sempre il Super-Ego, ma non è così!

Gli interlocutori , cioè i grilli parlanti sono altri come il senso di vergogna, di inadeguatezza, mancanza di esperienza, paura di deludere l’altro, passività affinchè l’altro ci suggerisca cosa fare … 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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