Resistenza alla psicoterapia e psicofarmaci

Resistenza alla psicoterapia e psicofarmaci

Ci sono persone che pur portatori di sintomi vari, non accettano di considerarsi pazienti.

In altre parole, non accettano di farsi curare.

Il paziente infatti è colui che di fronte a qualche malessere lieve, passeggero oppure importante e grave accetta di farsi curare e anzi si precipita dal medico per trovare una strada per la guarigione del corpo e del dolore psichico.

Ci sono poi gli ipocondriaci che si sentono addosso malattie delle quali non soffrono ancora e richiedono ossessivamente attenzione medica.

Molti medici di base ne sono invasi e sono costretti a ascoltare il particolare malato perché altrimenti temono di far peggio, ma sanno che l’indicazione sarebbe uno psicoterapeuta.

Si potrebbe affermare che il dolore psichico sia anche, quasi sempre, anche fisico, eccetto che in alcuni casi dove la malattia è silente, e i sintomi evidenziati grazie alla strumentistica medica, rivelano la gravità del potenziale decorso.

Per esempio un tumore al seno, all’utero, all’apparato respiratorio, a quello intestinale, fegato ecc.

Un collegamento psichico tra mente e corpo comunque è sempre virtualmente ammissibile.

Non sappiamo sino a che punto alle cause del danno somatico ci sia: la percentuale statistica di predisposizione genetica, quella indotta da cause esterne come fumo e alimentazione, e a queste si aggiunga quella psichica.

Quest’ultima potrebbe coincidere con una sofferenza che per molte umane ragioni, è mantenuta inconscia e rimossa, ma dall’interno influenza e contribuisce all’insorgere di alcune malattie.

Curarsi significa lasciare che lo specialista nei vari settori della medicina o anche para-medicina, procedano con strumenti diagnostici, valutazioni cliniche, e terapie che curino per mezzo della farmacologia, della chirurgia, e tanto altro.

Spesso è necessaria la psicoterapia.

Freud scrupolosamente teneva a distinguere le prescrizioni farmacologiche, per altro poco efficaci a quei tempi, dall’intervento della cura psicoanalitica, cioè esclusivamente basata su tecniche psichiche.

Il medico che prescriveva farmaci nei casi più gravi, non doveva essere lo stesso psicoanalista.

Perché?

Un motivo era certamente causato dall’esigenza scientifica di dimostrare che il paziente in cura psicoanalitica con alta frequenza di sedute, senza essere gratificato da alcuna seduzione, né essere toccato, poteva migliorare sino a sentirsi in una posizione di padronanza di Sé e di guarigione.

La guarigione con il metodo psicoanalitico risultava e risulta molto alta, anche perché Freud raccomandava di prendere in cura solo i pazienti non gravi, mentre gli psicotici erano destinati alla solo cura psichiatrica.

Oggi si assumono anche pazienti bipolari con disturbi borderline e in tal caso qualche insuccesso si verifica.

La psicofarmacologia come gli stupefacenti rappresentavano per Freud una seduzione verso il paziente perché chimicamente gli riducevano il dolore dei sintomi psichici, ma confondevano il metodo della psicoterapia psicoanalitica.

In altre parole, da una parte Freud chiedeva implicitamente al paziente di sforzarsi di produrre materiale

spontaneo tramite le libere associazioni che in parte erano sollecitate dalla sofferenza che era in lui, dall’altro lo

avrebbe gratificato con farmaci che alleviavano la sofferenza e quindi lo sforzo di comprendersi.

Insomma il paziente doveva ricevere un unico messaggio cioè di essere attivo, non contraddetto dal messaggio

oppostoche lo avrebbe passivizzato a causa della carezza offerta dalla biochimica che, a quei tempi, poi

rimbecilliva il paziente.

Solo un altro medico riceveva il permesso da Freud di somministrare se necessario al suo paziente farmaci e di gestire l’intera operazione di cura chimica. Freud era come se non ne sapesse nulla.

In tal modo, la farmacologia interferiva assai poco con il trattamento psicoanalitico.

Ancora oggi la psicoterapia psicoanalitica funziona secondo queste prescrizioni.

La gestione psicologica della crisi può appunto comportarsi diversamente da tale atteggiamento di cura.

I farmaci comunque vanno assunti nel caso una persona sia in condizioni di sofferenza psichica che non gli permetta di assumere responsabilità di scelta.

Perché alcune persone non accettano i farmaci, in particolare gli psicofarmaci?

Alcune persone non accettano neppure la psicoterapia!

Viceversa alcuni accettano la psicofarmacologia e non la psicoterapia seppur nel loro caso, siano necessarie entrambe, oppure la psicoterapia senza farmacologia!

Perché?

Ho già ipotizzato che molte persone temono di essere trasformati nel ruolo di pazienti.

Negano di soffrire perché dichiarano di non essere malati, seppur dall’altro lato affermano la sofferenza.

Temono tale identità che la società anticamente condannava: soffrono di un preconcetto indelebile.

Alcuni sono farmacofobici,temono che le medicine rappresentino il male e di essere stregati in balia della chimica-strega.

Alcuni sono invece farmacofilici, in particolare gli ipocondriaci.

Chi teme la psicoterapia invece, immagina che lo psicoterapeuta sia uno stregone per antonomasia e che comunque somministri consigli o obblighi a fare quel che la persona, non ancora paziente, non vuol fare.

Egli perderebbe la propria autonomia.

Il fatto è che lo psicoterapeuta non offre consigli, ma caso mai, sono i coach, o i consulenti che danno consigli.

La psicoterapia cerca di aiutare nel mettere a fuoco ciò che è assai confuso e ingarbugliato, e a costruire strategie

psicologiche spontanee, frutto di elaborazioni per la gestione autonoma della propria vita.

Il lavoro introspettivo (insight e working through)  che implica connessioni trasversali, spaventa qualcuno perché

egli pensa che si possa scoprire in lui chissà quale diavoleria e i candidati pazienti.

Qualcuno teme in anticipo invece che la loro crescita in evoluzione, sia a spesa della loro vergogna!

Per qualcuno la farmacoterapia è una soluzione magica, immediata e che permette di non raccontarsi.

Sbagliano anche qui, perché un buon psichiatra non prescrive farmaci se non conosce le psicodinamiche che

portano al dolore psichico il paziente a metà, si debba raccontare a lei/lui e si ritrova a vergognarsi, colpevolizzarsi.

Vale la pena cancellare certi preconcetti e pensare direttamente solo alla propria salute e propensione verso

la felicità!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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