La società tecnologica dell’invidia

La società tecnologica dell’invidia

L’invidia nasce come sentimento d’impotenza di fronte a persone e a oggetti che le persone posseggono, ma anche di fronte a luoghi privilegiati dove le persone vivono, a residenze, ville, automobili barche e poi cariche sociali, posizioni professionali raggiunte, riconoscimenti sociali, bellezze estetiche naturali indiscusse, ecc..

La psicoanalista inglese Melanie Klein si riferiva al neonato che già dai primi mesi percepiva sensorialmente il seno ricco della madre, buono e generoso o cattivo, avaro.

Il seno diventava inevitabilmente oggetto inconscio di invidia, perché generava nel neonato una profonda psico-biologica dipendenza da esso.

Le immagini, le rappresentazioni che la tecnologia ci ha messo a disposizione tramite la pubblicità, diventano icone da sognare e desiderare.

Il bisogno di apparire ha trasformato la società in sogni che non si possono raggiungere generando invidia che ci blocca e ci passivizza.

I sogni come quelli della fiaba di Cenerentola e di Peter Pan vanno bene quando si è bambini per infonderci quella fiducia che colora la nostra vita di un certo ottimismo di base utile per il futuro.

Ma quando abbiamo superato l’adolescenza i sogni fanno male all’umore, alla costruzione della personalità del carattere e dell’identità del Sé perché possono illudere per poi dolorosamente disilludere.

Tale disillusione mi sembra essere la piaga che si ritrova in generale in fondo a ogni depressione, sia legger sia severa.

I sogni sono illusioni e possono tradire, i desideri invece non tradiscono al massimo sono difficili da raggiungere.

I primi difficilmente si realizzano perché sono impulsi sbiaditi, sentimenti indotti, fantasie che derivano da varie fonti eccitanti, ma spesso ingannevoli, come influenzati dalla pubblicità, cioè da icone intelligentemente fantasiose e indotte che stimolano, quasi sempre in modo subdolo e sublimale, illusioni legate e ottenute inevitabilmente da disillusioni create con stratagemmi suggestivi e ipnotici.

La tecnologia ha creato un mondo sognante, anche quando parliamo di droni o di robot o di super eroi che possono volare, bambole o bambolotti di gomma quasi perfetti, messaggi che possono essere inviati da un mondo ad un altro.

Ci si innamora di chi non si conosce, sul quel modello idealizzato sul quale sin dall’inizio  si costruiscono progetti che il più delle volte portano a uno scompenso delusivo e fallimentare.

Il mondo in cui viviamo è un mondo non più sperimentato, non più toccato, fatto di una presunta perfezione astratta e forzatamente sognata, ma irrealizzata. Il narcisismo la fa da padrone.

Spesso la gente lavora faticosamente in modo poco creativo e consolida poco.

Spesso prevale la solitudine e l’invidia per quello che sembra che gli altri possiedano, ma in realtà di cui non gioiscono tanto.

Pensiamo ai giovani che dagli stupefacenti sono passati alle compulsioni e a quante ce ne sono, dal gioco d’azzardo alla bulimia, alla devastazione disperate dei muri pregiati delle città, allo shopping compulsivo, ecc..

Gli amori sono spesso più difficili perché decadono rapidamente a causa di un carattere sempre meno tollerante a causa di immaginazioni deluse e di frustrazioni in crescendo.

La gente cerca di sognare, cerca risposte immediate per eliminare subito il disagio con una pillola magica, non cerca di comprendersi, di dedicare tempo per appropriarsi di autonomia e di libertà e a strutturare una identità più solida e coerente.

Il desiderio e il non bisogno annullano l’invidia.

Penso a quel posso fare io che mi accorgo di avere più risorse di quanto pensassi e mi sento unito, più forte, con una identità sintetica più creativa.

Il bisogno invece si appaga subito e non lascia niente, lascia solo l’invidia che nella classe sociale crea inimicizia e non squadre costruttive.

Perché tante inimicizie?

Penso perché l’invidioso soffre di una malattia per la quale odia colui che possiede, non tanto perché vorrebbe possedere quell’oggetto simbolico, ma perché non può vedere che l’altro se lo possa permettere così come lui/lei stesso si riconosce.

Lei/lui detesta la propria impotenza, e invidia l’altro non per gioire dell’oggetto, ma per farlo sparire dalla sua vista e per cancellare il senso d’impotenza che sperimenta alla sua apparenza.

E la società tecnologica di apparenza tanto luccicante, quanto piena d’illusioni, te ne offre tante.

Il desiderio richiede pazienza e conoscenza di Sé e poi azione verso l’oggetto di passione, qualunque o chiunque sia, dal lavoro, all’amore.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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