Fobie e terrore di libertà

Fobie e terrore di libertà

Lo stesso Freud era terrorizzato dal numero 62, in quanto rappresentava in modo suggestivo la paura della sua morte a quell’età.

Il panico generato da questa sua paura gli impediva di alloggiare in camere d’albergo  contrassegnate da questo numero, respingendo altri eventi connessi .

Soffriva anche di siderodromofobia, cioè di viaggiare in treno. Paura di allontanarsi dalla figura materna magari punito da un incendio: nell’800 alcuni incendi si verificarono nelle ferrovie.

Freud pensava che annullare una reazione fobica, per esempio con la suggestione ipnotica senza conoscerne il significato inconscio, poteva essere pericoloso. Ciò perché la negazione emotiva di un sintomo fobico avrebbe potuto sguarnire il soggetto di difese che proteggevano il valore di un messaggio importante per la propria identità e sicurezza emotiva.

Freud e il collega Breurer applicando all’inizio dei loro studi sull’isteria il metodo ipnotico e poi catartico osservavano che le pazienti sottoposte a queste cure, dopo un apparente miglioramento dei sintomi isterici, ritornavano dal medico con nuovi e più gravi sintomi.

Il soggetto fobico sarebbe stato quindi esposto a nuove angosce e nuovo panico.

Il pensiero di Freud sulle fobie è inizialmente espresso in Ossessioni e Fobie, nel 1894 e distingue la paura del buio della notte, della solitudine, in particolare egli stesso era esageratamente angosciato dall’idea della morte.

In alcune situazioni toccò a Freud che fumava compulsivamente 20 sigari al giorno di svenire lui stesso. Molti dei sintomi scomparvero con il tempo e grazie anche alla sua pratica analitica.

Freud ritorna ad occuparsi di fobie nel 1908, con il caso del piccolo Hans, e qualche anno dopo, nel 1914, con quello del caso clinico dell’uomo dei lupi. 

Il pensiero di Freud sulle fobie. Il caso del piccolo Hans un bambino di cinque anni che teme di essere assalito e morso da un cavallo oppure che il cavallo, potesse ferirsi o morire.

Emerge il problema dell’agorafobia, che appare come angoscia per gli spazi aperti e che appare come terrore di essere chiuso in spazi ristretti e soffocanti.

Cesare Musatti, studioso della psicoanalisi freudiana, riteneva che le tante fobie diffuse nella popolazione come viaggiare in treno, in aereo, comprare  in un supermercato affollato, guidare in autostrada, il trovarsi in lunghe file di attesala fila abbiano in comune la paura di allontanarsi dalla  casa protettiva e simbolo della figura materna.

La casa mamma è associata all’unico luogo protettivo e stabile.

Personalmente ipotizzo in aggiunta a ciò, che la libertà adulta di pensiero e di azione possa provocare un senso di responsabilità che spaventa alcune persone. Queste persone sviluppano una resistenza verso tutto ciò che avvia loro verso uno sviluppo positivo della loro personalità, ad una maggiore autonomia. Da un lato la desiderano, ma dall’altro non riescono a cooperare per ottenere questo successo.

Alcuni pazienti, come riferiscono molti psicoanalisti, interrompono la cura in atto non appena s’accorgono di migliorare e di entrare in un epoca mentale che li porterebbe al successo per un verso molto desiderato. Liberarsi  da certi sintomi che corrisponde a prigionia aprirebbe la loro vita alla responsabilità di sentirsi adulti. Da questa fase fuggono e inconsciamente preferiscono tenersi i sintomi e fuggire dalla psicoterapia.psicoanalitica.

Le reazioni fobiche di vario tipo di cui molta gente soffre sono l’espressione equivalente di difese difronte allo spazio libero come se si trasformasse nella fantasia come uno spazio vuoto.

La solitudine e la debolezza di un piccolo bambino che è in noi tutti ha una prevalenza devastante sul Sé.

A mio avviso, molti pazienti resistenti alla psicoterapia specialmente se psicoanalitica, rifuggono da una potenziale libertà e autonomia.

I colleghi raccontano le resistenze dei pazienti alla cura.

Adducono motivazioni di vario tipo: mancanza di denaro, anche se molto favoriti, sfiducia di una cura fatta di parole e non di pillole o di interventi pratico-chirurgici, paura di una dipendenza dall’analista se protratta nel tempo, sebbene lo stesso trattamento psicoanalitico si occupi di fornire indipendenza e autonomia, e infine mancanza di tempo sottratto al lavoro concreto.

Tali pazienti resistenti, pur soffrendo di alcuni sintomi, sia ansie, sia angosce  che fobie e insicurezze hanno a mio avviso paura proprio della libertà che la psicoanalisi potrebbe loro offrire.

Non possono accettare di impegnarsi attivamente, di diventare completamente adulti e godere della vita impegnandosi nel viverla appieno con una buona concentrazione di passione e di creatività .

L’agorafobia può essere la conseguenza difensiva di un bisogno intenso e spesso irresistibile di uscire dalla casa genitoriale, come se fossero prigionieri (claustrofobia), ma contemporaneamente temere fortemente di cadere nel baratro. Trovarsi fuori casa da soli, immergersi nella folla, e sintomi sopra descritti a proposito di Freud stesso. ecc

La depersonalizzazione disturbi psicosomatico come incontinenza urinaria o intestinale, vomito, o avere trepidanti e oscillanti aritmie cardiache sono la minaccia che non i riesce a scacciare

La persona una volta attaccati dai sintomi può essere preoccupata dal timore del loro ritorno.

Meglio prendersi cura di se stessi che aspettare inconsciamente il ripresentarsi dei sintomi.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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