La frustrazione da lavoro si chiama burnout

La frustrazione da lavoro si chiama burnout

Molti giovani sono consumati dal lavoro, non tanto perché le ore di impegno in ufficio o in fabbrica siano tante, ma perché incontrano difficoltà psicologiche insormontabili nello stesso ambiente.

Molti giovani sognano di lavorare per essere indipendenti. Alcuni prendono un diploma professionale o si laureano, studiano con passione convinzione per poi giungere al temine della loro formazione.

Qui cominciano i guai psicologici.

Finita l’epoca scolastica, dove i compiti di studio erano tanto chiari quanto promettenti, si accorgono che l’attività che viene loro proposta non li fa sentirsi di essere riconosciuti come speravano.

Dopo alcune difficoltà per trovare il lavoro per il quale si sono preparati professionalmente, verificano però che il loro ruolo appare frustrante e che il loro riconoscimento professionale è poco riconosciuto.

Si accorgono che la concorrenza è alta e che gli altri colleghi sono più competitivi, sembrano più adattati, più veloci nell’apprendere e più soddisfatti per molte poche gratificazioni.

Invece per alcuni ci sono stipendi da fame e poco onore.

Cosa succede?

Succede che alcuni giovani hanno compiuto il loro compito con entusiasmo, hanno accontentato la loro famiglia che li ha mantenuti agli studi con soddisfazione, ma in seguito si trovano davanti ad un bivio.

Senza accorgersene si sentono incapaci di assumere le redini della loro vita.

Tutto sembra a loro difficile, lamentano di non essere all’altezza del loro compito, quello che viene a loro assegnato.

Il senso di inadeguatezza sembra prevalere nella loro vita.

Lavoro noioso, complicato, burocratico, poco retribuito, scarso riconoscimento sociale.

Qualcuno dice di impegnarsi tanto per non aver alcun ritorno gratificante, tanto impegno per niente.

Nasce una sorte di repulsione per il loro mestiere e l’attenzione per le cose che si fanno cala gradualmente.

Spesso si dorme male o ci si veglia a metà della notte. Ci si riaddormenta e non ci si risveglierebbe se non a mattina inoltrata.

Si mangia troppo, oppure troppo poco e disordinatamente. Ci si guarda allo specchio e non ci si piace.

Il cattivo umore e il nervosismo si porta a casa in famiglia e i genitori fanno fatica a capire cosa stia succedendo.

Cosa ti manca? Va tutto bene, sei brava o bravo nelle cose che hai sempre fatto, non è vero che tu non sia considerata/o. Del resto è quello che hai sempre desiderato fare! – incoraggiano i genitori

 In quei tempi comprensibilmente, la famiglia ha funzionato in modo troppo iperprotettivo.

Si era creata un’atmosfera magica dove le promesse per il futuro erano implicite su un destino ideale e premiante come ricompensa di un investimento nello studio e nelle buone azioni sociali.

La realtà sociale è cambiata rapidamente in venti anni, sia nell’economia, sia nei costumi.

Le delusioni oggi piovono a grappoli sui giovani che non si aspettavano tale cambiamento sulla base della filosofia morale dei genitori che, nella loro epoca, erano giustamente ottimisti, specialmente negli anni cinquanta.

Inoltre la società ha approfittato della crisi socio-economica per utilizzare strumenti dove si pubblicizza il bello sotto ogni forma, e anche il successo segue a ruota, come conseguenza della triade bello, ricco e di visibile successo.

I cellulari rendono visibile ogni cosa desiderabile e l’inganno di possedere tutto ciò rende spesso sia illusi, sia invidiosi.

Non c’è da meravigliarsi che molti giovani si sentano falliti di fronte a tanto che non hanno, mentre al contrario, non sanno di possedere in se stessi virtù che non sono però in grado di riconoscersi e tendono a sentirsi precocemente falliti nella vita.

Il blocco, la noia, l’incapacità di gestire la vita, l’aspetto fisico che non è conforme alla bellezza delle ragazze, o dei ragazzi, che fanno demagogica pubblicità e inviano sottili messaggi, sono in alcuni casi il risultato psicologico di tutto ciò.

La possibilità di farsi aiutare professionalmente potrebbe essere loro di grande aiuto per sconfiggere un burnout ,che è in questi casi è il risultato di un tradimento ideologico.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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