Non voglio assumere psicofarmaci!

Non voglio assumere psicofarmaci!

Alcune persone che lamentano importanti disturbi di panico, disturbi depressivi medio importanti, anche accompagnati da disturbi d’insonnia rilevanti, rifiutano assolutamente di assumere psicofarmaci.

Sebbene con molte resistenze, accettano colloqui di psicoterapia, ma in seduta non collaborano con lo psicoterapeuta nel senso che rimangono passivi e in fondo ostili alla cura.

Nonostante la sofferenza che tali disturbi arrecano a chi ne soffre, queste persone non riescono a rinunciare al controllo inconscio sulla stessa terapia. Hanno bisogno del medico, ma in parte rifiutano il fatto che il come psicoterapeuta abbia la conduzione della cura.

Il farmaco in molti casi viene sostanzialmente contestato da questo genere di paziente perché è vissuto appunto come mezzo di potere del medico: il paziente sembra sperimentare in quella fase del suo disturbo qualunque terapia come ostile e condizionasse la sua precaria libertà.

Il piano reale della cura è respinto come se il medico fosse un dittatore nemico e disattento verso i suoi bisogni primari.

In altre parole, sul piano della realtà la cura si verifica che la scena debba essere incentrata solo a livello psicologico e quasi sempre inconscio.

Alcuni di questi pazienti nella fantasia vorrebbero essere protagonisti di una scena agita dove lo psicoterapeuta completamente dedito a loro: egli dovrebbe ascoltare solo i bisogni primari come se il paziente vivesse nel teatro della mente una sua prima infanzia.

Lo scopo è una rivincita su eventi del passato che psichicamente il paziente sperimenta come un tormento per ciò che ha funzionato male per lui.

Il rifiuto dei farmaci in un certo senso per il paziente significa sabotare la cura, se per cura si intende occuparsi superficialmente appunto tramite i farmaci.

E’ come protestare rivolgendosi a una madre o padre: comodo che tu trovi la scusa del tempo che non hai perché devi lavorare, cosicché tu ti lavi le mani e non ti occupi di me come dovresti!…

I farmaci quindi rappresentano il poter dell’altro che pensa solo egoisticamente di liquidare l’affetto che spetta al piccolo bimbo, condizionando il suo sentire.

In ogni modo, il rifiuto di assumere psicofarmaci riguarda un forte bisogno del paziente di controllare la cura.

Coinvolge quindi in pieno lo psicoterapeuta la gestione di questo conflitto tra bisogni primari insaturi del paziente e suo desiderio di portare il paziente a funzionare in modo sano.

Il paziente ha il diritto di contestare la cura, ma il medico ha il dovere di fare il possibile per migliorare la situazione del paziente che cerca in tal caso di sabotare la cura prima di cominciarla.

La psicoanalisi sin dai tempi di S. Freud non includeva l’uso della farmacologia, nel senso che tutto si sarebbe dovuto svolgere all’interno di un setting psicologico, ma ovviamente riconosceva che al di fuori della psicoanalisi si usassero tutte le cure dovute in medicina.

Quali altri motivi possono essere in genere alla base del rifiuto dello psicofarmaco quando questo è prescritto dal medico specialistico?

Il paziente potrebbe temere di dare l’assenso accettando i farmaci di accettare di essere ammalato di mente: accettare di assumere psicofarmaci significa quindi per i pazienti reticenti riconoscere di avere disturbi al proprio cervello. Questa fantasia genera angoscia e induce a rifuggire dal farmaco.

Il paziente ha il timore di assumere droghe che lo condizionano: è pur vero che drug significa in inglese farmaco, ma l’assonanza con droga è come se evocasse l’idea delle droghe come stupefacenti.

In realtà le droghe si prendono in fondo per cambiare la propria identità, per avere coraggio o per moda imitativa.

Gli psicofarmaci invece si assumono per migliorare la propria identità e sotto controllo medico e per stare meglio.

Il paziente che forse è predisposto a molte dipendenza, percependo la sua fragilità teme di avere un’altra dipendenza dalla quale non può più liberarsi.

In realtà solo dalle benzodiazepine, si può creare una dipendenza chimica, ma non dagli antidepressivi: il farmaco per l’appunto serve a gestire una crisi e quindi a ridurre la tendenza alla dipendenza.

Il paziente teme effetti collaterali: si, è possibile: possono esserci vari sintomi indesiderati come secchezza fauci e giramenti di testa, ma si riducono con il tempo: questi effetti collaterali possono per alcuni pazienti una sorta di vendetta per aver usufruito di un benessere proibito che consiste nell’assumere droga.

Nei pazienti ansiosi che controllano il mondo, lo psicofarmaco è associato alla perdita del loro controllo sulle cose e sul mondo.

Il paziente teme lo stigma sociale, cioè  che si venga a conoscenza della propria debolezza e necessità di assumere questa categoria di farmaci, di scoprire direttamente che il paziente li assume: questo evento sarebbe vergognoso, se qualcuno vedesse o venisse a saperlo.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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