I gravi danni psicologici come conseguenza della sindrome da reclusione per corona virus

I gravi danni psicologici come conseguenza della sindrome da reclusione per corona virus

Molte persone agli arresti domiciliari, dopo molte settimane, si vedono come mai si erano viste prima. Sono purtroppo molti coloro che, in queste condizioni di reclusione forzata, iniziano ad accusare gravi sintomi depressivi e stati di crisi psichica.

Lo stile di vita non è più lo stesso, ma abbiamo pazienza – si dice -, considerando che sarà per un periodo circoscritto di tempo durante il quale preserviamo noi stessi e per giunta facciamo un’opera buona e civile nel preservare gli altri.

Si dicono: molte perone muoiono nei Centri di Emergenza anche medici e infermieri sacrificano la loro vita per salvare noi. Dobbiamo essere solidali, se non altro con chi ci aiuta e pertanto aiutiamo chi già ci aiuta.

Qualcuno dice: ho dovuto interrompere da un giorno all’altro il mio stile di vita, parte della mia vita sociale, affettiva, relazionale e quel che più importa anche la mia vita lavorativa non può essere abbandonata per più di un mese. Non ritrovo più niente dei miei contatti di lavoro.

Certe persone sperimentano una crescente frustrazione nervosa da aspettative mancate, da inutilità e si rifugia spesso in una sorta di oblio pensante o di spasmodica attesa del tempo che non scorre. A questo si aggiunge spesso un senso di impotenza per le mancate e contradditorie informazioni che aumentano l’ansia.

Dopo la frustrazione, aumenta il bisogno urgente che fa sognare di uscire di casa subito, immediatamente. Ma non c’è una data certa del ritorno alla cosiddetta normalità sociale!

Si concretizza la sensazione di un futuro incerto! Torneremo mai più normali?

L’isolamento forzato sembra essere un’arma necessaria e importante nella battaglia contro il coronavirus e i dati dimostrano che, dove applicato, i contagi diminuiscono fino ad azzerarsi.

Tuttavia, l’assenza di contatto umano, interazioni sociali, il cambiamento delle proprie abitudini o anche solo l’impossibilità di godere dell’aria aperta, dopo un mese di attesa piovono sulla gente come un inferno di fuoco.

Il Governo, l’Ordine degli Psicologi e Psicoterapeuti e molte associazioni si sono già mobilitati per arginare il problema, dalle consulenze online ai numeri da chiamare per chiedere aiuto.

Se per alcune persone restare a casa significa finalmente leggere libri, leggere e scrivere come personalmente tento di fare io, aiutare gratuitamente persone che me lo chiedono, fare ginnastica, guardare uno dopo l’altro tutti gli episodi di una nuova serie tv. Ma per molte persone, invece stare a casa o in casa si trasforma in un incubo non più sostenibile.

Studiando esperienze di quarantene passate, gli scienziati hanno confermato che lunghi periodi di isolamento possono comportare difficoltà psicologiche come disturbi emotivi, depressione, stress, disturbi dell’umore, irritabilità, insonnia, fino al disturbo da stress post-traumatico. Dopo poco più di una settimana di quarantena, abbiamo già visto che tutto ciò sta già succedendo anche agli italiani.

I dati della prima settimana di quarantena

Secondo studi condotti da Centri di Pronto Soccorso e da Centri psicoterapeutici Psymind e altri, tra domenica 8 e venerdì 13 marzo su 2782 soggetti, il 93% degli intervistati dichiara di provare almeno ansia per l’attuale situazione, il 42% segnala un abbassamento del tono dell’umore, il 39% un aumento dell’insicurezza. Una sensazione di oppressione assilla il 33% degli intervistati, mentre il 30% lamenta pensieri intrusivi o fissi, il 28% peggioramento del sonno, il 23% extra sistole cardiache e importante tachicardia.

Tra le fonti di preoccupazione il 60% del campione segnala l’idea del virus in sé, mentre il 45% addita la tv e il 44% le notizie che arrivano via internet. Il 63% delle persone intervistate sono preoccupate di subire un impatto negativo rilevante sul proprio lavoro a breve o medio termine e il 39% dei soggetti ha già riscontrato i primi effetti. I più preoccupati sono i lavoratori autonomi.

Gli effetti psicologici dell’isolamento possono essere gravi se, come ho già scritto altrove nel blog, le persone hanno pregressi disturbi del Self che non conoscevano, perché l’organizzazione delle loro vita si era fondata su alcune finte certezze, ma sulle quali l’Ego contava.

Le persone che nel lavoro potevano dirigere altri perché dipendenti di un ufficio di un’azienda.

Alcune persone sono state per molti anni in grado di svolgere un buon lavoro dirigenziale.

Mantenendo un atteggiamento di carattere euforico, molto sostenuto, sperimentano un insito e profondo bisogno di controllare con precisione il mondo circostante.

Nella vita normale dichiarano di sentirsi bene, seppur si lamentano contemporaneamente di essere stressati, nel mantenersi attivi in questo modo.

Potrebbero essere ITSO, inablity to swich off =  incapacità di staccare dal lavoro, oppure workaholic = maniaco del lavoro, staccanovista. Queste persone cadono in una depressione maligna e disperata.

Ci sono persone che soffrono di un’antica solitudine, mai elaborata, che in questa situazione accusa sintomi di claustrofobia.

Non sappiamo quando e come questo assetto della personalità si sia costituito e quanto tale organizzazione del Self sia profondamente radicata. Sta di fatto che vediamo che togliere a questo tipo di persona la libertà di agire nel lavoro, ma anche in svariate attività della vita, implica un pericoloso break down sia in senso psichico che fisico.

La ribellione psicologica può alzare la pressione arteriosa a chi già la mantiene alta, seppur sotto controllo dei farmaci.

In questi casi il cortisolo, che è l’ormone dello stress, la noradrenalina e l’adrenalina, la dopamina, l’acetilcolina, che sono catecolamine, il cui complessivo aumento può causare infarti, stroke, trombosi a vari organi, proprio come il covid-19 una volta entratoto in circolo nell’organismo delle vittime a cui si affeziona.

I problemi di stare a casa per lungo tempo sono numerosi. C’è chi sta affrontando un disturbo alimentare, magari perché la fame nervosa lo porta a non controllare più la quantità di cibo ingerito, o magari perché l’ansia gli ha tolto l’appetito e gli impedisce di mangiare correttamente.

C’è chi di giorno ostenta tranquillità, ma poi la notte non riesce a dormire o ha incubi.

Chi non vede parenti importanti, né può aiutarli e sente ciò come un lutto non elaborabile. Queste persone avrebbero desiderato partecipare al funerale del defunto o assisterlo sino alla fine per condividere il dramma di persona.

Ci sono bambini e giovani che faticano a tollerare l’assenza degli amici e dello stare all’aria aperta; e ci sono gli anziani per cui rinunciare alle interazioni sociali significa perdere capacità mentali e cognitive più in fretta, oltre che soffrire una solitudine non alleviata da social network o videochiamate.

Sul  personale sanitario ho già proposto un piano di azione nell’articolo del 28 Marzo, nel mio articolo nel blog: Aiuto psicologico ai medici e personale sanitario.

Per evitare che il personale collassi o rischi il burnout e stress post traumatico.

I problemi psicologici dunque non affliggono soltanto chi resta in casa, ma anche chi, ogni giorno deve lasciar casa per recarsi sul posto di lavoro e restarci anche più a lungo dei normali turni: medici, infermieri e tutto il personale sanitario stanno compiendo sforzi enormi, ma sono i più soggetti al burnout e stress post traumatico. Ansia, insonnia e disturbi che tendono a manifestarsi alla fine dell’emergenza.

Ma sono tanti gli operatori sanitari che, dopo aver dato il massimo sul posto di lavoro, non possono permettersi il lusso di tornare a casa e riabbracciare i figli o il partner, magari per precauzione, per allontanare ogni rischio di contagio, o magari perché nell’emergenza sono stati trasferiti a lavorare lontano da casa e dagli affetti.

Con il decreto legge del 9 marzo u.s., il governo ha dato il via libera all’assunzione di professionisti sanitari per l’emergenza, facendo esplicito riferimento anche alla professione dello psicologo.

Emergency, Bologna Soc. Italiana Psicoterapia Psicoanalitica, SIPP tel +393440660544

Quello che mi auguro in riferimento al Governo è di organizzare una uscita dalle case al più presto dopo 70 giorni di quarantena e cioè ai primi di Maggio.

Fase 2.  Sperando che ci siano le condizioni sanitarie per fare ciò, ritengo che occorra una fiducia sulle persone che si assumono la responsabilità ad andare in giro fuori casa.

Tutte le persone debbono essere munite di mascherine e dovrebbero osservare una distanza sociale di almeno 1 metro, sarei più tranquillo di 2 metri.

Dovrebbe essere vietatissimo assemblarsi ovunque senza mantenere la distanza prescritta.

I luoghi pubblici dove non si può garantire tale distanza, non possono essere aperti sino a fase 3.

La fase 3 cioè quando la situazione pur non essendo completamente risolta, garantisca che i nuovi eventuali focolai sarebbero prestamente circoscritti e debellati.

La sanità dovrebbe essere in grado di gestire al meglio i nuovi ammalati.

Nel frattempo ci si auspica che medicine siano abilitate all’uso per controllare i sintomi del morbo e un vaccino sia sul punto di esser sperimentato sulla comunità.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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