La psicoterapia amata e odiata

La psicoterapia amata e odiata

Da un punto di vista statistico molte ricerche verificano che un’alta percentuale di frequentanti una psicoterapia psicoanalitica (che conta il 75 per cento), è contenta e a favore di averla iniziata.

La metà di queste persone dichiara di andare in seduta con molto piacere (circa 40 per cento) e il restante 35 per cento dichiara di andare regolarmente alle sedute con convinzione ma non con scarsa voglia.

Non perdono le sedute perché capiscono che il lavoro che svolgono con lo psicoterapeuta fa loro molto bene, cioè facilita la loro crescita e rafforzamento dello loro identità, aprendo psichicamente la loro personalità in modo più flessibile e libero verso il mondo.

Perché questa percentuale di persone tuttavia è indolente nel recarsi alle loro sedute di psicoterapia?

La ricerca su 503 soggetti svolta negli USA, University of Califiornia, UCLA, Los Angeles rivolgendosi a questa percentuale del 35 per cento, dichiara che vorrebbero ricevere risposte dai loro psicoanalisti circa il comportamento da adottare nella loro vita in modo più diretto e qualcuno sotto forma di consigli pratici.

Si trovano invece di fronte al silenzio dello psicoterapeuta a quasi ogni loro domanda.

In seguito aggiungono che il lavoro analitico è impegnativo e richiede tempo e tanta introspezione, anche se è ricompensato da una maturazione dei loro personali punti di vista.

Il successo che si ottiene però con grande fatica mentale e solo in un secondo tempo, gli analizzanti si accorgono di esser cambiati in modo soddisfacente e con riconoscimento anche dai parenti ed amici.

Chiaramente è noto che la psicoanalisi non offre consigli o risposte ai quesiti degli analizzanti, ma piuttosto stimoli a digerire fantasmi indigesti e mai digeriti sino a quel momento che si ripresentano in seduta come coazione a ripetere sotto forme differite.

La psicoanalisi nel corso degli anni è assai cambiata nel procedimento psicoterapico: per esempio S. Freud pensava che il principio deterministico (causa ed effetto) fosse alla base dei comportamenti nevrotici. Una causa traumatica oppure una situazione frustrante avrebbe causato una sofferenza.

Sappiamo oggi che le cause sono molto più complesse e determinate da situazioni multi fattoriali, per lo più non traumatiche.

Si continua credere che genitori abbiano commesso errori tramite comportamenti e un’educazione sbagliata e causato nevrosi ai figli.

Quante volte genitori, mariti, fidanzati vorrebbero con un po’ di gelosia  parlare con lo psicoanalista per chiedere dove hanno sbagliato!?

Vediamo però che giovani che in famiglia hanno trovato molti motivi per soffrire a causa di molti influenze negative eventi dolorosi sono cresciuti sviluppando le loro abilità ottenendo grande successo nella vita sociale e pratica.

In molte circostanze avviene il contrario.

Le cause del malessere di una persona sono veramente tante e spesso non codificate e individuabili.

La vita del processo psicoanalitico osserva più il qui ed ora per ricostruire e sanare le sofferenze senza bisogno ossessivo di ricercare e recuperare le cause della morbosità, anche se tale materiale eventualmente, emergendo a pezzi, non guasta la ricostruzione della personalità.

Quelle situazioni che contano e vengono a galla si possono annotare perché possono contribuire al completamento di molti dettagli di molte difficoltà dell’individuo.

Il punto essenziale che contraddistingue i meno motivati dai più motivati all’analisi che invece si divertono nella ricerca libera in compagnia dello psicoanalista e vengono alle sedute con grande piacere è dato dalla capacità veloce di connettere situazioni interiori, tra loro quelle che appartengono a epoche diversi della propria vita, cioè dalla intelligenza introspettiva, (working trough).

Costoro nella vita pratica passano con più velocità e soddisfazione da un’epoca che hanno elaborato ad un’altra nuova.

Le emozioni che derivano dall’esperienza, aggregate tra loro e assimilate, poi accomodate nel mondo interno costituiscono dei personaggi che sosterranno e avviliranno l’Ego alla fine dell’analisi dovranno trovare una buona armonia tra loro facilitando l’autonomia e stabilità dell’analizzante.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

2 commenti

  1. Luciano Nardino

    Buonasera.
    Beh è anche vero che i primi tempi, nel mio caso i primi anni, c’è una vera e propria credenza di risolvere una volta per tutte i propri problemi. Poi si capisce che, se sono cronici, bisogna fare una terapia di mantenimento. Si va sempre con buona volontà e gratitudine, ma la parte del piacere indubbiamente viene meno.

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