Psicologia del lamento

Psicologia del lamento

Ci sono persone con le quali ci imbattiamo, spesso sono nostri amici o amiche che si lamentano nelle conversazioni che intratteniamo con loro, di ogni cosa che accade loro o che fa parte del contesto nel quale si trovano.

Il lamento si evidenzia perché nella relazione le persone implicano nel loro lamento che noi possiamo fare qualcosa per salvarli dalla situazione nella quale si sentono impastati e soffocati.

Un conto quando qualcuno racconta e descrive ciò che accade loro, spesso per condividere sorridendo o anche tristemente protestando, ciò che è capitato e che riguarda una sventura, un conto è mirare a ripetere all’infinito un lamento come se l’interlocutore fosse coinvolto e in qualche modo la causa sfortunata che è capitato all’amico, lo riguardasse da vicino.

L’interlocutore dopo un po’ di tempo si sente in colpa per via della sua impotenza nel non poter fare qualcosa per aiutare l’amico.

Improvvisamente, l’amico sente addosso tutte le frustrazioni, la pesantezza, il senso di solitudine o di vuoto che il lamentoso gli sta inconsciamente rivolgendogli come parte in causa e come se fosse coprotagonista dei guai dell’amico. L’amico sente la implicita manipolazione del lamentoso !

Il lamentoso è spesso suggestionabile e suggestionato da un passato, fatto di esperienze con persone lamentose che sembravano ingraziarsi gli dei mostrando di soffrire più del necessario per ottenere una grazia. Uno sconto di pena sarebbe nel tempo e insistendo con il lamento, intervenuto in loro favore.

In alcuni casi, tale apprendimento implicito e inconsapevole autorizza a scocciare l’altro sino all’inverosimile e niente può convincere il lamentoso a desistere dal lamentarsi.

Si tratterebbe da parte dell’ascoltatore, spesso o quasi sempre inascoltato, di manifestare reazioni di evidente seccatura che deluderebbero e farebbero soffrire il lamentoso inconsapevole del suo fastidio arrecato agli altri.

Il lamentoso si sente di solito in solitudine, sfigato, non considerato a sufficienza: ha avuto una madre promettente, ma poi la vita lo ha deluso, perché quelle promesse sono state deluse dalla dura realtà.

Il lamentoso è rimasto quindi egocentrico e manipolativo, in realtà egli sente poco rispetto verso gli altri che spesso ringrazia in quel preciso momento di appagamento per essere stato ascoltato, ma si dimentica del loro esistere come persone, se non per potersi con loro sfogarsi profusamente.

In poche parole, i lamentosi non sanno mettersi nei panni degli altri.

La vita dovrebbe solo appagare e se invece si rivela in alcuni aspetti, sia deludente, sia persecutoria, i lamentosi si arrabbiano e protestano all’infinito con chi è loro in quel momento vicino.

Lamentarsi abitua i lamentosi a trovare un modello attraverso il quale si percepiscono in uno stato di vittima, come se il mondo li perseguitasse e questo diventa un leit motiv esistenziale.

Quanto il lamentoso, seppur inconsciamente, sta facendo teatro delle proprie disgrazie ?

In realtà, i lamentosi allontanano le persone da sé e tutto s’irrigidisce intorno a loro.

Naturalmente si capisce che sentirsi perseguitati senza un’oggettiva ragione immobilizza lo stesso lamentoso e gli altri che gli sono normalmente vicino e che gradatamente, si allontanano da lui o lei.

La vita per il lamentoso, ormai divenuto cronico con il tempo, sfugge dalle sue mani e come tutti coloro che si sentono perseguitati senza ragione, lo scopo di vivere svanisce perché non gli permette più di dirigerla, ma solo di subirla.

Il protagonista lamentoso, virtualmente non è più protagonista, non possiede più le redini del suo cavallo, ma è costretto a lasciarsi vivere!

In altre parole, la visione panoramica e sensata delle cose, secondo una logica sempre relativa alle varie situazioni e contesti non è visibile dal lamentoso che rimane un po’ bambino evocante una madre che lo dovrebbe salvare da ogni difficoltà e contro la quale può protestare se non è gratificato da qualcosa che invece lo delude.

Invece di giocare, seppur seriamente con le cose del mondo, si lascia schiacciare inesorabilmente dagli eventi.

Il lamento è indice di bisogno psicologico urgente e mai di desiderio che dovrebbe invece dall’adulto essere sempre anteposto al bisogno infantile, salvo naturalmente eccezioni di casi, come la precarietà di salute e altre effettive disgrazie.

La domanda utile sarebbe la seguente: cosa posso fare per migliorare la mia situazione ?

Come posso diventare protagonista attivo per trasformare ciò che mi appare negativo in meno peggio ?

Non rinuncio a ciò che, se penso, posso fare!

Parlare delle mie difficoltà a un amico/a, può far bene perché alcune idee possono nascere per trovare delle soluzioni alternative, lamentarsi corrisponde a perdita di tempo, ricerca di passività e attesa di nuove sventure.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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