Viaggiare, effetti collaterali

Viaggiare, effetti collaterali

Oggigiorno si viaggia molto anche perché i low-cost flight agevolano gli spostamenti essendo diventati molto competitivi rispetto ai voli tradizionali.

I viaggi sono da sempre, tanto belli, divertenti e dis-traenti la routine quotidiana, quanto istruttivi, sia in virtù d’eventuali incontri di luoghi e architetture, di arte, paesaggi naturali, sia per esperienze che di per sé, colorano il viaggio, anche quando s’incontrano inconvenienti di percorso: anche questi ci fanno meglio conoscere le usanze, le abitudini, i costumi. Queste esperienze non sempre gradevoli però sono memorizzate dalla memoria emotiva che non dimentica mai e che sa rivivere le emozioni che si attivano nel sistema limbico del nostro cervello.

Tanti anni fa in Messico, dove allora non esistevano le staccionate per contenere i bovini , ben ho presente nella mente l’esperienza di quando un toro caricò l’auto guidata da un amico che ,per un pelo, stava per uccidermi se non mi fossi prontamente buttato giù aderendo al pavimento dell’auto!

Ulisse di Omero è forse il simbolo del viaggiatore tanto curioso quanto avventuroso e anche un po’ presuntuoso, forse consapevole della sua astuzia e capacità di evitare i pericoli dei vari incontri.

Il poeta Pascoli immagina che Ulisse, dopo essere tornato alla sua amata famiglia, riprenda a viaggiare spinto da un irresistibile bisogno di curiosità, per andare verso le colonne d’Ercole per saziare la fame di avventura e placare i suoi vitali desideri di conoscenza .

Da Alessandro Magno a Marco Polo, da Ferdinando Magellano a Cristoforo Colombo e infine a Yuri Gagarin sono tanti altri i viaggiatori e esploratori della Terra.

Quali significati sono impliciti nel viaggiare?

La nostra vita biologica e mentale è un viaggio che spesso assomiglia a un sogno, spesso anche a un martirio: viaggiare è un po’ come sognare, vi sono sogni gradevoli e incubi, e é come ricercare ciò che vive nell’ignoto.

Per alcuni viaggiatori significa essere vivi, intraprendenti, autonomi. Se so viaggiare per conto mio significa che sono in grado di cavarmela in tutte le circostanze, significa che non ho bisogno di niente e nessuno.

Conosco il mondo così come è, vivo la mia libertà, a volte mettendo a repentaglio anche la mia stessa salute, ma sono padrone della terra, parlo diverse lingue …

Il grande viaggiatore sperimenta un gigantesco sogno di libertà e d’indipendenza, non so se di autonomia interiore. Alcuni grandi e irrequieti del passare i confini territoriali producono fantasie onnipotenti ed eccittanti fino a fantasie che corrispondono a: niente mi ferma, la morte mi aspetterà!

Ricordo un giovane inviato speciale di un giornale che per lavoro, aveva scelto di essere in tutti i Paesi del pianeta, dove era necessario un servizio giornalistico, per cui era sempre in trasferta: si ammalò di agorafobia.

Come molti sanno il sintomo clinico della severa agorafobia significa housebound, cioè bloccato in casa. ( se esco di casa non potrà tornare più indietro). Si tratta di un potenziale terrore di muoversi lontano da un punto di riferimento familiare, da luogo sicuro, materno, come la propria casa. Allontanarsi, nella mente dell’agorafobico, significa, come il mito di Teseo che doveva affrontare il minotauro (testa di toro e corpo umano) che per nutrirsi sbranava molte fanciulle. Il mostro viveva in un labirinto a Creta, dove chi entrava nel dedalo non riusciva a tornare indietro.

Teseo fu aiutato da Arianna che lo munì di un filo con il quale Teseo, dopo aver ucciso il mostro, riuscì a recuperare il percorso di ritorno salvo.

Fu un lungo lavoro con l’inviato speciale per restituirgli la sua libertà. Il giornalista aveva bisogno di sfoggiare la sua indipendenza lottando inconsciamente contro una madre amabile, ma iper-possessiva.

L’angoscia di dipendenza lo portava retro-vertire la sua tendenza primaria perché simbiotica , viaggiando continuamente. Viaggiare significava negare con le azioni il bisogno primario di rimanere attaccato e fuso a un’immagine simbolica materna. Se viaggio ce la faccio da solo e sono libero.

A volte conviene considerare l’esagerato bisogno di viaggiare che potrebbe indicare, fuggire da qualcosa che attrae e al tempo stesso, ci perseguita dentro di noi.

 

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Pensando al viaggio, a livello simbolico, fin da ragazzina, mi ha sempre affascinato l’idea di non tornare e continuare viaggiare senza essere rintracciata, ma senza creare preoccupazione in coloro che mi conoscono: sinceramente la ricerca di una dimensione personale.

    Mi piace viaggiare, probabilmente perchè mi sento più disponibile a mettermi in gioco, dal momento che l’idea del cambiamento e del nuovo sono già insiti nel viaggio, in particolare in Paesi dove fatico a comprendere la lingua: tanto c’è sempre l’inglese e/o lo spagnolo per ogni evenienza.

    Le ansie di solito diminuiscono, perchè trovo più semplice coivolgermi e inoltre mi è capitato di incontrare persone interessanti viaggiando, anche nel quotidiano non solo per lunghi percorsi: forse c’è più disponibilità ad ascoltare?

    Raffaella

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