Mi chiamo Chiara e ho quarantasette anni e sono e faccio l’avvocatessa.
Torno a casa dopo molto lavoro e trovo mio marito che mi saluta a mala pena. E’ un musone, parla poco ed è chiuso in se stesso.
Mi sono sempre domandata perché mio marito Paolo ingegnere, cinquantun anni, sia sempre scostante in molte occasioni della nostra relazione.
Con Paolo ho avuto due figli maschi di dieci e tredici anni.
Solitamente, mio marito riesce a precedermi venendo a casa prima di me, perché molti dei suoi disegni sono da lui prodotti nello studio di casa. Paolo si occupa dei nostri ragazzi certamente più di me e li segue con affetto.
Durante i diciotto anni di matrimonio ho chiesto in più occasioni perché Paolo si comporti in modo freddo, come e si dovesse dipendere da me, anche se a volte si dimostra amorevole, specialmente nei momenti intimi.
Le sue risposte alle mie domande indicano costantemente il suo carattere tendenzialmente chiuso: Paolo mi dice di sentirsi oppresso dalle molte richieste da parte degli altri, sia professionali, sia da parte di parenti vari, tra i quali i suoi anziani e malandati genitori e così, anche da parte mia.
Mio marito sostiene che la nostra relazione è buona e che lui mi ama, ma non sa esprimere l’affetto.
Personalmente sento e mi comporto al contrario. Più sono stanca e frustrata per motivi di lavoro o altro, tanto più cerco il suo affetto. Forse ho bisogno di essere protetta o consolata di fronte alle difficoltà della vita. Paolo invece desidera sempre liberarsi da impegni che comunque lui vive oppressivi e come se gli mancasse l’aria attorno a se stesso.
Come fare conciliare il mio bisogno d’affetto, di fisicità, di essere abbracciata con il bisogno di un uomo che mostra anelare alla liberazione e che in fondo è respingente il contatto se non programmato?
Cara Chiara, esistono in generale due tipologie di carattere comportamentale che per esperienze passate risalenti alla prima infanzia appaiono contrastanti l’una con l’altra.
Persone che come te, sono molto affettuose e a volte, richiedono uno scambio intenso di contatti amorosi, emotivi, corporei come a testimonianza della condivisione con chi ama e assicuri la stabilità del rapporto. Non sono mai sola/o!
Ci sono persone che al contrario sperimentano un bisogno di sentirsi svincolati da un senso di oppressione che li lega e impedisce di essere liberi. Queste persone sono spesso in alcune occasioni anche molto trasgressive, ed è come se esplodessero e imponessero, come se lo spazio vitale venisse minacciato.
Anche in questo caso bisognerebbe riferirsi, non tanto per ricordare quanto elaborare,ad interlocutori del passato.
Naturalmente non è lecito generalizzare, ma ho potuto osservare che persone che nella prima infanzia e oltre, sono state molto controllate e spesso iper-protette, spesso vivono la relazione affettivamente ravvicinata e con gli altri in genere con una certa ansia e spesso con l’impulso a liberarsi da un incubo.
In altre parole, si potrebbe ipotizzare che chi ha avuto nell’infanzia o comunque esperienze che hanno consentito di elaborare con sufficiente respiro e spazio mentale la propria unicità e individualità sia alla ricerca di cercare di accettare e ricercare nuovi affetti.
Nel tuo caso cara Chiara, sembra che comprensibilmente tu cerchi di condividere con tuo marito una vita familiare che è altro dal passato vissuto inconsciamente.
Direi come ipotesi che tu non sia sentita oppressa, né iper-protetta dalla famiglia e che tu senta sufficientemente bene l’appetito di ricerca di un’alternativa affettiva che nel tuo caso viene offerta dal tuo stesso marito. Tra i due caratteri potresti aver percepito una situazione affettiva più lacunare che oppressiva.
Paolo invece potrebbe aver vissuto una situazione inversa, cioè di risonanza psichica costrittiva e per questo si difenda dalle richieste che possono sperimentate come doveri ai quali non ci si può mai sottrarre, mai trasgredire, pena una forte punizione che genera fantasmi angosciosi.
Per esempio, durante una psicoterapia si può notare che i pazienti che hanno sofferto di eccessive aspettative da parte dei familiari, educatori, insegnati, ecc, sono portati a sentire la stessa psicoterapia e psicoterapeuta come oppressiva/o, intrusiva/o, giudicante e emergerà il vissuto del passato spesso con tentativi ripetuti di fuga e di interruzione della psicoterapia stessa.
Tu chiedi una conciliazione tra i vostri stili comunicativi?
Mi sembra che Paolo riconosca il suo comportamento e cerchi di dirti, seppur a modo suo, quanto tu sia importante per lui.
Occorre accettarsi e in particolare rispettare il modo in cui l’altro percepisce il proprio mondo interno.
Avere la pazienza di ascoltare, con l’attenzione rispettosa a certe dinamiche psichiche con grande comprensione e rispetto facilita la fiducia nel partner e avvia allo scioglimento di certe rigide difese psichiche e aprendo la finestra alle alternative di nuove esperienza e da vivere con fiducia.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Sono molto daccordo con quanto è espresso negli ultimi capoversi, poichè i vissuti dolorosi e giudicanti rispetto al proprio passato se non accolti ed ascoltati emotivamente continuerebbero, a mio parere, a frapporsi nel dialogo di coppia come nelle relazioni significative: quali anche la psicoterapia.
E ‘ un poco, forse, come dare “cittadinanza” ad una parte di Sè, che, dove avverte un ascolto significativo, sente anche la possibilità di esprimersi e lasciare esprimere altri?
Raffaella
Cosa pensano gli altri lettori ?
Lui è fatto così, poi gli uomini quando hanno stress e problemi sul lavoro invece di sfogarsi aprendosi si chiudono. Tutto qui, le donne cercano più affetto e rassicurazione, l’uomo è più “orso”.