Esporsi non significa esibirsi

Esporsi non significa esibirsi

Esporsi significa mettere se stessi in vista affinché gli altri ti vedano, oppure vedano cosa fai, di che ti occupi, significa non nascondere quel che si ritiene utile per se stessi al fine di raggiungere obiettivi e scopi interessanti. In altre parole: metto la mia faccia al cospetto di una situazione nella quale alcune persone possono, vedendomi, assumere una posizione, sia psicologica, sia decisionale nei miei confronti che suonerà assai favorevole o sfavorevole. La reazione degli altri che potrà essere positiva/negativa o del tutto particolare. Per esempio, se mi espongo attraverso il mio curriculum studiorum o quello professionale, mi presento per un test di assunzione al lavoro, accetto di andare a una festa di compleanno, e a qualunque situazione dove posso essere osservato dagli altri ne ricavo un’impressione che spesso non viene comunicata, ma che potrebbe frustrarmi e mettermi in testa dei pensieri negativi su me stesso ancora di più che altri commentassero chiaramente, per il semplice fatto che il silenzio potrebbe alimentare certi fantasmi molto soggettivi.

Presentarsi apertamente agli altri permette, invece e in compenso, di tentare di avvantaggiarmi verso ciò che desidero, seppur chi agisce con coraggio, rischia di mettere a repentaglio la propria immagine o la propria presunta reputazione. Come dice il proverbio: se non rischio, non rosico.

Detto ciò, non voglio citare i social network perché i contatti avvengono senza vergogna e senza rischio, perché non ci si mette la faccia. C’è una sola eccezione: il cyber bullismo che porta alcuni giovani fragili e in fondo, passivamente frustrati e arrabbiati, a un senso di vergogna e umiliazione tanto da commettere il suicidio per sprofondare e sparire dalla faccia della terra per non essere visibili ed esistenti.

Mostrarsi in pubblico ci si può esporre a situazioni tanto difficili quanto pericolose: esporsi alle critiche può compromettere parte del nostro futuro. La donna o uomo che sentiamo interessanti per noi potrebbero farci comprendere che non siamo altrettanto attraenti o interessanti per lei o lui e quindi noi possiamo cadere in una sensazione di frustrazione e depressione e per giunta, scoraggiarci nel futuro.

Nei bambini e negli adolescenti, ma anche nei giovani adulti alcune esperienze frustranti a scuola, in famiglia, nell’ambiente lavorativo possono aprire una strada tortuosa nella formazione del proprio carattere che può trasformarsi in una personalità rigida, difesa chiusa, orientata al pessimismo e alla timidezza e insicurezza.

Spesso queste frustrazioni non sono dovute a eventi particolarmente umilianti o punitivi, ma il vissuto pregresso delle persone è imprevedibile perché la costruzione della personalità in ciascuno di noi è assai complessa.

Possono esserci nelle persone reazioni parossistiche nell’elaborazione delle frustrazioni che, pur non essendo traumatiche, vengono sperimentate dal soggetto come se lo fossero.

Una reazione possibile nel soggetto che ha vissuto male certi messaggi antichi, può essere di tipo egocentrico, cioè sviluppare un bisogno di tipo narcisistico e esibizionistico. Io esisto e dovete riconoscermi ad ogni costo!

Proprio la persona timida, passiva e bloccata, chiusa in se stessa può, con il passare del tempo, reagire e trasformarsi in tal maniera: esibire la propria e presunta grandiosità, quindi esibirsi onnipotentemente in ogni modo in ogni contesto.

Pertanto, mentre l’esporsi significa proporre ottimisticamente di riuscire ad avere successo, incontrare gente accoglierla, e empatizzare con gente che non si conosce ancora sapere dare del tu in senso metaforico nei vari ambienti, avventurarsi con garbatezza in situazioni nuove, mettersi in discussione senza auto tormentarsi ed avvilirsi, la grandiosità può rappresentare il contrario, perche l’esibizionismo nasce come reazione difensiva alla timidezza.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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