L’influenza dello sguardo

L’influenza dello sguardo

E’ noto che sentirsi guardati può generare in alcuni di noi un certo imbarazzo.

Certo bisogna distinguere come si è guardati.

Il nostro cervello interpreta le espressioni dei volti di chi ci sta guardando in maniera differente.

Signumd Freud riconosceva che svolgere la psicoterapia sul divano o lettino era più vantaggioso, e lo considerava meglio più adatto e efficace del vis a vis che le poltrona può offrire nella cura del paziente.

Perché?

Lui stesso on sopportava di durata per quasi un ora tutti i pazienti in volto : loro si aspettavano sempre una risposta!

La comunicazione vis a vis  oppure  face tu face  implica  guardarsi per lo più negli occhi con uno sguarda significativo.

I messaggi che si trasmettono sono molteplici con lo sguardo.

E’ come se il paziente parlando di quel che disidera, raccontasse e si aspettasse una continua approvazione oppure disapprovazione.

La sua comunicazione non è libera, ma è continuamente  condizionata dall’espressione dello psicoanalista che sembra esprimere un giudizio.

Cio’ che si richiede in psicoanalisi invece è la completa libertà di espressione che non è appunto condizionata dallo sguardo dell’altro.

No si configura allora una relazione troppa stretta dove il paziente si aspetta una approvazione, o una disapprovazione.

Il paziente non sarebbe libero direttamente di esprimersi con l’ombra delle sue fantasie,.ma queste fantasie che non si è accorto di aver sempre pensato  di giorno e in particolare di notte attraverso i sogni (che archiviano certe considerazioni del pensiero)  ricompaiono, se il paziente fa attenzione a quel che ha pensato, mentre senza che all’inizio non ci ha fatto caso.

Non basta la consapevolezza del dire, ma è necessaria accorgerssusi e diventare coscienti anche di piccole cose che poi si legano ad altre associazioni. .

Noi apparentemente non pensiamo sempre, ma ma invece se facciamo attenzione ci accorgiamo sempre di aver pensato qualcosa: dobbiamo far mente local e accorgersi che il pensiero scorre sempre.

Quasi mai durante le prime sedute di incontro per intraprendere una psicoterapia, il cosiddetto periodo di assessment, cioè di conoscenza e valutazione sull’opportunità di intraprendere una psicoterapia psicoanalitica, ci si sente rilassati e a proprio agio.

L’uso del lettino è ancora e sempre un dettaglio fondamentale che fa parte del setting psicoanalitico.

Che cos’è il setting, in psicoterapia psicoanalitica?

È l’insieme dell’ambiente fisico e anche dell’atmosfera psichica all’interno del quale spazio fisico ha luogo la relazione psicoterapeutica, dove si forma il patto terapeutico che include l’orario e la durata delle sedute, alcune semplici normative concordate riguardo alle norme relazionali nel rapporto psicoterapeuta-paziente.

Il divano diventa, così, uno strumento di lavoro.

Il paziente, cerca di rilassarsi sul divano, non vede il viso dello psicoanalista per non essere influenzato dalle sue eventuali espressioni del viso che vengono in tal modo differite. Guardando il soffitto è più facile al paziente concentrarsi sul suo mondo interiore.

Le associazioni libere e le sue fantasie ne sono agevolate nell’esprimersi. Può seguire il flusso dei suoi pensieri fin quasi a perdersi in essi, come in un sogno. Questo è inoltre un motivo per cui alcuni pazienti non gradiscono immediatamente di distendersi sul divano, temono la posizione che appare di vulnerabilità, di passività, di mancanza di controllo.

Perché Freud riuscì a far comprendere ai suoi pazienti che l’uso del lettino avrebbe avvantaggiato l’accesso al mondo proprio mondo interiore?

In parte è un residuo dell’ipnosi. Freud fu per un anno allievo di Charcot, presso l’ospedale Salpetriere di Parigi (nel 1885), il famoso neurologo e psichiatra che operava usando un metodo psichico che era in auge a fine sin dal 700 e anche alla fine dell’800, cioè la tecnica dell’ipnosi secondo tre fasi di rilassamento.

I pazienti venivano fatti stendere su un lettino per rilassarsi meglio, cosa che sembrava funzionare sui sintomi isterici.

Freud apprese da Charcot la tecnica dell’ipnosi. Fin qui, nulla di strano.

Quando tornò a Vienna l’anno dopo, Freud immediatamente riferì al collega Breur, più anziano di lui e in parte suo Mecenate di diversi anni, quanto aveva appreso a Parigi riguardo al metodo ipnotico: però, sia Breurer sia Freud, s’accorsero presto che l’ipnosi non portava ad alcun successo terapeutico delle nevrosi.

Dopo un provvisorio iniziale miglioramento dei sintomi, le donne malate ritornavano dai medici più ammalate di prima con grande inspiegabile nostalgia per le sedute da loro precedentemente svolte.

Un giorno arrivò nello studio di Freud una nuova paziente, Fanny Moser.

Fanny aveva disturbi di tutti i tipi – isteria, insonnia, dolori psicosomatici, vari tic. Freud la fece stendere sul divano per ipnotizzarla. “Stai iniziando a sentirti assonnata…” cominciò Freud, ma la donna ribatté che non si sentiva per nulla assonnata. In compenso voleva parlare.

All’inizio Freud si seccò. Provò a spiegarle le sue teorie. Ma Fanny insistette e, alla fine, Freud si decise ad ascoltarla. Freud comprese che un imprevisto poteva contare a qualcosa di inedito e rivoluzionario, e così si dedicò ad ascoltare una paziente assai logorroica con tutta l’attenzione possibile.

Perché continuare la psicoterapia dell’ascolto del talking cure usando il divano?

Freud stesso nel suo saggio Inizio del trattamento (1931) scrisse: “Non sopporto di essere guardato dagli altri per otto ore (o più) al giorno”. Anche i pazienti possono sentirsi bloccati.

Il divano rimase a far parte del setting.

La psicoanalisi continuò a progredire e si è grandemente evoluta in una direzione che guarda l’autonomia del paziente attraverso la conoscenza dei sentimenti di transfert che si osservano nella qualità della relazione tra lo psicoanalista e il paziente.

Come ho accennato, a seconda di come qualcuno ci stia guardando, direttamente o meno, e dalla direzione dello sguardo di un altro, il nostro cervello reagisce alle emozioni di paura o di rabbia espresse dal viso di quella persona.

In particolare il tipo di sguardo influisce nell’area destra sul sistema prefrontale limbico in particolare sull’amigdala, la regione del cervello che regola le emozioni, e rivela i possibili pericoli che riguardano il comportamento emozionale.

Lo sguardo può essere una forte comunicazione, un significativo messaggio.

C’è lo sguardo cattivo, di giudizio svalutativo, vendicativo, crudele, invidioso, geloso, punitivo, di rimprovero, mentre c’è lo sguardo buono, dolce, protettivo, tenero, sensuale, di apprezzamento.

La mimica espressiva è un linguaggio, spesso molto eloquente, più delle parole verbalizzate.

Molti pazienti temono di essere giudicati dal loro psicoterapeuta, pur sapendo che la relazione di per sé, tende all’opposto e solo all’aiuto laddove la persona si sente sofferente e incompresa.

Il giudizio severo deriva da se stessi, da quegli interlocutori interiori che svalorizzano l’agire, ma spesso avviene a livello non conscio..

Lo sguardo condizione le idee e non possiamo fare ameno di adattarsi a ciò che l’altro in qualche modo si aspetta da noi.

Lo sguardo è molto utile nella comunicazione, ma non in psicoanalisi, ma solo nella vita quotidiana.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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