Desiderare ardentemente d’avere figli o rifiutare la maternità?

Desiderare ardentemente d’avere figli o rifiutare la maternità?

Alcune donne sentono la loro vita come un fallimento se non riescono in tutti i modi a diventare madri. Altre donne non solo non ne sentono il desiderio, ma addirittura rifiutano tale posizione e allontano da sé la situazione respingendola completamente..

Nel tema semantico della parola child-free non vedrei alcuna vena polemica, seppure alcune donne che mi hanno scritto contestano di non sentirsi libere di poter scegliere di mettere al mondo figli o di rinunciarvi.

Alcune donne lamentano di considerare tale possibilità un’autentica scelta e non di sentire il loro destino da donne legato a un dovere imposto dalla natura. La natura protegge se stessa e noi dobbiamo servirla – sostengono alcune di loro.

Ed è proprio qui che si gioca l’equivoco, su scelte che sono radicalmente opposte e che non trovano un punto comune.

Perché alcune donne in accordo con i loro compagni, ma a volte anche in disaccordo, scelgono di non avere figli?

Penso che non sempre alcune donne incontrino uomini in grado di funzionare come padri potenziali e uomini disponibili ad essere di aiuto nel condividere un’esperienza assai importante come quella di aiutare e amare il bambino come potenzialità del futuro: in particolare di condividere con la compagna la responsabilità e di supportarla in modo adeguato. 

L’instabilità è sentita da molti uomini che si rifiutano, come del resto è sempre accaduto da parte di molti di loro, di condividere le difficoltà insieme alla compagna, in particolare in modo concreto e quotidiano, atteggiamente che sembra anche essere in aumento.

Non esiste soltanto il maternage, ma dovrebbe essere rinforzato, specialmente in un momento psico-sociologico difficile, un partenage che si esprime con caratteristiche peculiari, differenti da quelle materne, e aggiungerei in tutti i periodi storici, indispensabile alla coppia genitoriale e in genere al suo funzionamento di scambio affettivo.

Ho conosciuto professionalmente donne che rifiutavano la maternità, pur desiderando inconsciamente di avere un figlio, per il fatto che prevaleva in loro la coda di personali esperienze passate non felici da un lato, e dall’altro erano dissuase da fidanzati non tanto convinti sulla condivisione affettiva di diventare padri.

Tali donne sentivano nel figlio una parte negativa di loro stesse e percepivano nei loro partner una insicurezza nella condivisione, e così pensavano loro stesse di non essere in grado di diventare madri.

Queste stesse donne hanno cambiato idea con partner adeguati più sicuri e convinti nei propri desideri paterni.

Nonostante la caduta di natalità aumenti, sia in Italia sia in altri Paesi occidentali, e la diminuzione indichi che molte donne rinuncino ad avere figli, non penso che la natura della femminilità sia stata stravolta dalle difficoltà economiche, dalla mentalità razionale-illuministica.

Accade di frequente che vi sia un ritardo eccezionale nel generare, al limite e oltre i consigli della biologia, fisiologia ed endocrinologia. Comunque, magari anche artificialmente, le donne raggiungono lo scopo: questo suggerisce però che in molti casi, la natura della donna non è mai scomparsa.

Alcune difficoltà di varia origine hanno evidentemente rimandato l’evento senza più poterlo controllare.

Ci sono molte eccezioni che non cancellano l’ipotesi del desiderio femminile, anche se mi sembra più che giusto rispettare le donne senza problemi di femminilità che rifiutano, convinte, la maternità.

Esistono alcuni casi di rifiuto di avere figli che fanno riferimento a giovani donne che temono la trasformazione del loro corpo nell’ospitare il feto. Spesso questo timore è temuto da giovani donne belle o che aspirano a mantenere una linea estetica che valorizzi il loro corpo.

Spaventano inoltre le possibili malattie che potrebbero comparire nel feto e che allertano le tendenze ipocondriache di alcune giovani donne; per non parlare di donne che hanno la tendenza all’anoressia nervosa e che presentano qualche problema con l’alimentazione regolare.

Tra donne, rinunciare ad aver figli, potrebbe essere un tema del quale si fa fatica a parlare, poiché molte giovani ragazze si vergognano di dichiarare alle loro amiche le ragioni della loro rinuncia, se queste sono di ordine estetico.

Ho comunque costatato che, avendo la possibilità di lavorare psicologicamente con alcune giovani donne, spesso il desiderio naturale di procreare si manifesta imponente, sia a livello di desiderio di maternità, sia a livello dell’esperienza corporea. Succede che, se per ragioni cliniche la potenziale madre non può avere questa esperienza generativa, il dolore può essere immenso con una difficile rassegnazione o elaborazione del lutto per aver perso tale possibilità.

Qualche volta capita che i matrimoni s’infrangano su tale aspetto, e in qualche caso, la donna colpevolizza il partner, anche se non esiste alcuna responsabilità biologica.

Alcune difficoltà possono frapporsi alla gravidanza quando le esperienze antiche in famiglia d’origine restituiscono inconsapevolmente alla giovane donna un’immagine di se stessa poco considerata, molto svalorizzata, che fanno sentire la piccola bambina che esiste ancora in lei adulta, con bassa fiducia nel Sé e quindi anche scarsa autostima.

Diventare madre oggi, tuttavia, appare più una scelta e non più un’imposizione sociale anche se, qualche volta, il compagno stesso, fomentato da vari gruppi sociali, sembra costringere la donna perché vorrebbe risolutamente diventare padre.

Penso che la natura non sia cambiata nella donna, ma che la società consumistica, i problemi economici, alcuni stereotipi sociali, esperienze psicologiche negative legate al passato dei suoi genitori nella giovane donna, influenzino il suo vissuto e blocchino la sua libertà di scelta femminile.

Convincersi che essere madre venga prima di tutto, prima del padre, prima della propria soddisfazione personale, facilita il rinunciare al proprio posto nel mondo, perché identificarsi nei propri figli impica rinunce generali e riduzione del proprio piacere narcisistico a vantaggio del presente/futuro dei propri figli, come conseguenza di un ciclo connaturato e inevitabile.

Quando invece il processo di insubordinazione si mette in moto, portando la donna al di fuori della materna investitura, il senso di colpa che scaturisce è grande.

In Italia una donna che sceglie la propria carriera, ambizione o passione prima della famiglia, o che addirittura decida di non riprodursi affatto, è giudicata da una parte della popolazione come un archetipo innaturale.

Ogni donna diviene madre con tempi diversi e imprevedibili. A volte il desiderio di maternità è subito presente, in altri casi affiora lentamente per una serie di motivi, talvolta non scatta proprio.

Sappiamo che i figli esistono nella mente dei genitori come eterni perché costituiscono il proseguo della loro vita e su di loro i genitori proiettano i propri desideri, seppur spesso con rispetto di quel che i figli scelgono spontaneamente.

La mamma biologica durante il parto, sempre meno complicato rispetto a un tempo, è in fondo felice.

Le endorfine circolano nel sangue per confermare tale condizione.

Il feto, all’interno del liquido amniotico della madre biologica, viene nutrito e si prepara alla costruzione del Sè e alla nascita.

Gli studi prenatali ci evidenziano, infatti, come il feto sia sollecitato da molti stimoli, tra i quali gli incontri biochimici, come lo stesso cibo dal quale la madre si nutre e che permette al feto la conoscenza di tante nuove molecole.

In seguito, a circa sette mesi, il feto percepisce il timbro della voce materna, la visione del chiaro-scuro, dei movimenti cinestesici della madre, ecc.

Si tratta di pura sensorialità e percezioni che andranno a costituire la memoria implicita, quella che non può essere ricordata, e non esplicita, della quale parlava S. Freud. Il bambino infatti dopo i tre anni può ricordare, o può rimuovere il ricordo per poi in seguito recuperarlo.

A tal proposito ricordo, tanti anni fa, un giovane paziente che mi aveva raccontato che prima di essere lui stesso partorito la madre aveva dovuto separarsi dal padre, uomo molto violento sopratutto nei confronti della moglie stessa anche mentre era incinta. Mi raccontava che l’uomo picchiava spesso la moglie facendola cadere per terra ruzzolando rovinosamente varie volte sul pavimento.

Questo paziente venne in psicoanalisi perché soffriva di giramenti di capo con vertigini che lo colpivano all’improvviso, forse in concomitanza di discorsi che includevano il comportamento ambivalente della madre umiliata e traumatizzata dal marito.

Una volta sul lettino fu attaccato da un forte giramento di testa: aveva la netta sensazione che il capo ruotasse tanto da doversi alzare e poi ricollocarsi nel sofà. Si era sentito sgridato da me e mi aveva percepito in modo violento.

Ebbi il coraggio di ipotizzare che i giramenti di testa ricordassero i capogiri che la madre gli aveva raccontato quando seguivano le spinte violente che il padre le provocava, e cioè di rotolare violentemente per terra.

Il paziente ascoltava in silenzio e dopo una lunga pausa esclamò che la mia supposizione poteva essere vera e non aggiunse altro. Durante le sedute successive il paziente mi raccontò che non gli era più capitato di soffrire di capogiri con grande meraviglia sia del paziente sia mia… Si trattava di memoria implicita, non rimossa, della quale si stava recuperando una traccia sensoriale.

Tornando alla nascita del bambino/a, subito dopo essere stato partorito la bocca del piccolo cerca il seno materno, come se lo avesse già localizzato nella sua piccola mente.

Certo il parto sembra suonare in queste donne come una deprivazione di una parte di Sé, come se fosse stata strappata della carne, una parte della quale si è appropriata inconsciamente, sorta da una simbiosi che è percepita come se fosse stata tradita.

Certi neuro ormoni, come serotonina, dopamina, acetilcolina, e catecolamine come noradrenalina, vortioxetina, istamina, ecc., sono sconvolte nell’organismo. Nei casi di sconvolgimento gravissimo, ma per fortuna altrettanto rari, alcune madri sono colpite dalla sindrome di Medea che conduce alcune sfortunate donne a un bisogno sadomasochistico di sopprimere i figli, spinte da impulsi irrefrenabili.

La mamma è sentita e intesa anche come rappresentativa di sicurezza, di amore, di sogno, di rappresentazione dell’intera famiglia protettiva, di fiducia: la mamma-casa, come sosteneva lo psicoanalista D. Winnicott.

Questa imago è in tutti noi piuttosto forte, quasi biologica, e per molte donne funziona benissimo, per altre costituisce una responsabilità insormontabile.

La fiducia di base si forma quando questa situazione non manifesta grandi incoerenze e situazioni strane non intralciano il cammino della crescita.

Infine il concetto di mamma si estende al progetto che molte donne, non potendo avere figli o per ragioni ancora più nobili, decidono, con coscienza di alcuni rischi, di adottare bambini.

La mamma adottiva forse per molti versi rappresenta quella figura dove l’egocentrismo biologico che è in tutti noi deve venir meno.

La donna, nella funzione materna, desidera essere madre ed è normalmente in grado di farsi carico dei problemi del bambino che adotta. Contemporaneamente a ciò, è consapevole che quel bambino non proviene da lei.

E’ di solito di conseguenza meno possessiva: lo sente molto vicino, ma non è simbiotica, non sente di possederlo completamente e che sia di propria appartenenza, e accetta tutto ciò. Deve trovare una posizione di distanza-vicinanza che richiede tanto rispetto e tanta identificazione nei problemi oggettivi che un bambino adottato richiede.

Si tratta di un assunto che può angosciare le donne superficialmente denominate negli USA childfree, soprattutto se tramandato da madre in figlia attraverso la comunicazione emotiva, tale messaggio evoca il concetto dell’irreversibilità della scelta di essere madri.

Può essere avvertita da alcune ragazze inconsapevolmente come una grave responsabilità, a volte un fardello troppo pesante che uccide un desiderio spontaneo.

Di fatto molte donne non accettano più la maternità, anche se resta un tabù e parlarne diventa difficile.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
__________________________________________

E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

Rispondi

WP to LinkedIn Auto Publish Powered By : XYZScripts.com