Psicologia evolutiva dell’invecchiamento

Psicologia evolutiva dell’invecchiamento

Nel 2014, secondo le ricerche di Eurostat, l’aspettativa di vita alla nascita di una donna ha raggiunto gli 83.6 anni, mentre quella di un uomo i 78.1 anni.

Consideriamo che nel 1900, in occidente, donne e uomini vivevano all’incirca fino a, rispettivamente, 48 e 45 anni.

Il processo di invecchiamento richiede studi più attenti, sia in senso medico geriatrico, sia in senso neuro-psicologico perché tale processo si associa a un peggioramento nella salute fisica e mentale.

Gli scopi degli studi riguardano interventi che dovrebbero sia rallentare il peggioramento fisico-mentale sia migliorare la qualità della vita dei cosi detti anziani.

La situazione di accettazione dell’invecchiamento da un punto di vista psicologico avviene anche a causa di sintomi prevedibili, quando invece i sintomi compaiono quasi all’improvviso l’accettazione è peggiore, sopratutto nella popolazione più longeva. 

Perché?

Il prolungamento della vita non viene avvertito dalle persone: è comprensibile che io veda crescere i miei anni e trovarmi in buona salute, e sentirmi come se potessi raggiungere un’età di 120 anni. Chi me lo vieta? Chi può saperlo?

Salvo che io non conosca la prognosi di certe malattie da cui sono affetto la speranza non muore mai in me. L’eventuale pessimismo manifestato potrebbe essere un atteggiamento scaramantico una lamentela anticipata che nasconde invece sia l’illusione, sia la speranza di essere quasi eterno, pur avendo la certezza che non lo sarò di sicuro da un punto di vista biologico.

Insomma ci attacchiamo alla vita con il trascorrere del tempo che ci vede presenti sulla terra, e ringraziamo la medicina attuale e il buon Dio.

In realtà le cose non stanno, a mio parere, proprio in tal modo.

Nel nostro mondo interno i fantasmi proliferano a livello non conscio, ma avvertiamo dei tumulti che ci mettono in allarme.

Ricordiamo alcuni sogni, tra i pochi che rimangono nella superfice della mente sotto forma di vago ricordo, che non sono belli e nemmeno ottimistici.

Alcuni di essi sono addirittura incubi.

In alcune persone anziane, come si dice spesso in là con gli anni, crescono i sintomi di ipocondria non appena sentono che ci si può ammalare di quella o questa malattia.

L’ipocondria consiste nel sentirsi al centro dell’attenzione prima di se stessi e poi del medico che deve rassicurare di non essere ammalato.

Purtroppo alcuni sintomi non sono solo immaginari, piuttosto anche molto reali e spesso pericolosi.

A questo punto mi sento di ricordare che è sempre in gioco nell’anziano, o in chi si sente all’interno del processo d’invecchiamento pur essendo di mezza età, il concetto psicologico dell’identità e del Self.

L’immagine di noi stessi si basa sulla fiducia di base ereditata dalle cure dell’ambiente familiare, dalla nostra condizione fisica e di reale salute, dall’estetica del nostro corpo, dalla nostra cultura di conoscenza, dalle capacità tecniche di ottenere un posto gradito nella società.

Il Self evoca dunque una struttura costruita con fortuna e fatica psichica, che ci fa sentire sufficientemente esistenti e visibili, forti e autonomi.

L’autonomia non riguarda solo l’indipendenza, che è certo una meta importante, ma anche, e in particolare, una maturazione interiore che ci sostiene e ci fa sentire protagonisti, ci fa sentire di stringere nelle nostre mani le redini del presente e del futuro, per quanto sia possibile in modo relativo.

Il senso di identità di noi stessi allora è forte e convincente.

Il senso di autonomia e anche quello dell’indipendenza nell’anziano è fondamentale.

Tanto più questa sensazione d’autonomia è profondamente costruita e radicata in noi stessi, nel nostro Self,  tanto meno soffriremo delle nostre debolezze che l’invecchiamento implica, anche fisico.

L’autonomia, conquistata negli anni attraverso processi di elaborazione delle esperienze, va a braccetto con il processo di accettazione degli anni che crescono.

L’accettazione non significa porsi in una posizione psicologica passiva di rassegnazione, ma accogliere la realtà che riguarda noi stessi.

Significa godere consapevolmente delle nostre emozioni, sensazioni e affetti senza doverli negare.

L’accettazione fa scoprire le nostre risorse psicologiche e le nostre virtù da tempo ignorate.

Le risorse mentali che portano memorie che fanno parte di noi possono essere recuperate e utilizzate per il futuro.

Tutto ciò migliora la qualità della vita contro eventuali depressioni dovute ad una perdita del senso del futuro.

La depressione è uno stato mentale che non trova in se stesso il senso di ciò che si sta facendo, per chi e per cosa.

Si tratta di un effetto della riduzione del piacere della propria identità e dell’autonomia del Self.

Aiutare le persone ancor sufficientemente giovani all’accettazione di rappresenta la chiave che abitua a considerare l’invecchiamento un processo evolutivo, cioè una resilienza che trasforma certe penalizzazioni dovute al crescere degli anni in una sorta di piacere nell’osservare se stessi con le proprie ricchezze interiori e gli altri.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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