Quando ti sposi, sposi anche la comunità che appartiene al partner

Quando ti sposi, sposi anche la comunità che appartiene al partner

Si tratta di antiche considerazioni che sono pur sempre attuali.

Il matrimonio in Italia, e in genere nei Paesi latini, arabi e del medio Oriente, implica, come è noto, che sposandosi si acquisiscano, oltre che la propria moglie o marito, spesso anche molti parenti: in primis i genitori, cioè i suoceri.

Ci sono alcune persone che prima di sposarsi, in piena epoca d’amore, quando il desiderio e l’entusiasmo di vivere insieme mirando a lieti progetti è alle stelle, indagano con attenzione sui genitori di lui o di lei.

A qualche promesso sposo viene suggerito di studiare l’aspetto della madre e del padre perché con il tempo la propria moglie potrebbe trasformarsi esteticamente replicando la genia e l’aspetto di uno dei genitori di lei o di entrambi.

Stessi suggerimenti vengono dati alla promessa sposa.

Nello studio dei suoceri si consiglia di conoscere bene anche il loro carattere e la loro personalità, perché anche questi potrebbero essere ritrovati nella futura moglie o marito.

Inoltre ci si può imbattere in suoceri intromissivi e intrusi che invadono il campo della coppia.

Certi punti di vista dei genitori iper protettivi e possessivi trovano un riscontro negativo nella personalità dei figli che si sposeranno.

E’ vero che molti figli si sono autonomizzati e la loro famiglia d’origine non rappresenterebbe più un riferimento pericoloso per il loro matrimonio.

Se osserviamo, come esempio di autonomia, la cultura dei Paesi anglosassoni, vediamo che è più probabile che l’indipendenza, e parte dell’autonomia psicologica, sia già costruita dopo l’educazione ricevuta dagli studi professionali del Còllege.

La cultura del Còllege che si frequenta già a 16 anni, implica spesso di vivere lontano dalla casa della famiglia di origine, e questa lontananza può stimolare nei ragazzi la sensazione piacevole e attrattiva di autonomia psichica.

In questi Paesi occidentali la lontananza dalla famiglia spesso rappresenta per i figli anche un lutto, ma se l’intento dei genitori prima del Còllege ha mirato alla preparazione dei figli piccoli all’autonomia, considerandoli adulti in potenza, il lutto ha probabilità di essere elaborato velocemente.

In Italia accade sempre più frequentemente che i genitori rinuncino all’infinito loro potenziale bisogno di possesso dei figli, pur consentendo loro di sposarsi, ma ancora troppe famiglie si atteggiano a essere iperprotettive. La cultura antica ancora vince quasi sempre.

Succede allora che se i messaggi che giungono ai figli sono del tipo: ti puoi fidare solo della madre e del padre, l’ombra simbiotica della famiglia si protrae anche durante la vita adulta della donna e dell’uomo.

Mi raccontano conoscenti, amici e tanti altri, che il loro matrimonio è condizionato dalle famiglie d’origine invadenti.

Qualche partner domanda all’altro: hai sposato me o tua madre / padre?

Molti figli uomini già più che adulti sono condizionati dal punto di vista delle loro madri quando queste continuano ad esercitare il loro potere di ruolo, nel ruolo di madri possessive che sembrano essere in competizione con le mogli estranee.

Spesso accade che i nuovi matrimoni non siano felici anche perché molestati e condizionati dagli interventi di certi suoceri che senza accorgersene mantengono il possesso e controllo dei figli.

Accade anche il contrario: suoceri che sono rispettosi e desiderano l’indipendenza e l’autonomia dei figli e lasciano con affetto spazio affinché crescano nella loro convivenza.

I suoceri intrusivi invece, pur in buona fede, non riconoscono la loro intrusività, ma anzi dichiarano di lasciare i loro figli liberi di fare le  scelte, confondendo il loro controllo possessivo con il bene che provano verso entrambi gli sposini.

Ma il condizionamento è avvenuto in passato remoto e per questi figli il parere o volere delle madri conta ancora moltissimo.

Stessa dinamica è replicata verso le figlie adulte che si identificano con la madre nelle idee e nei suoi bisogni in quanto donna.

Naturalmente ci sono reazioni opposte in molti figli che, più indipendenti, reagiscono comportandosi all’opposto.

Ma comportarsi all’opposto dei genitori non vuol dire essere diventati liberi e autonomi.

Tutti noi dall’esterno, possiamo percepire dai racconti dei figli che in queste ribellioni del pensiero e del comportamento c’è sempre un legame con  i genitori che non è stato elaborato in una relazione affettiva serena ed autonoma, cioè rispettosa e chiara negli affetti.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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