Come sarebbe bello che i politici non si aggredissero di persona…

Come sarebbe bello che i politici non si aggredissero di persona…

Cogliendo l’ultima baruffa politica, che vede con l’aiuto delle Tv il presidente del Consiglio che attacca personalmente persone del Centro destra per poi vedere la ripetizione della rissa ad opera della parte offesa, dispiace a tutti.

Forse questo fa spettacolo, ma genera confusione nella gente e crea capri espiatori!

Ma queste scene avvengono continuamente in televisione, sui giornali, nei social, dove tutti i commentatori politici, giornalisti e anche personaggi dello spettacolo fanno tutti insieme appunto spettacolo.

Lo spettacolo è il fine o ci sono altri scopi?

Certo che questi psicodrammi avvengono in tutto il mondo e forse lo spettacolo serve a distrarre dalle difficoltà che le posizioni dei politici incontrano, perché sempre c’è qualche difficoltà nel proporre certe idee scomode nell’incontro con la realtà, sia da un lato che dall’altro.

All’Università di Santa Barbara, presso il Centro di Psicologia, le causa degli accesi litigi politici, secondo una ricerca, sarebbero dovuti a un modulo mentale innato del nostro cervello. Il lavoro pubblicato sulla rivista Cognition dimostra  la tendenza delle persone a sintetizzare la psicologia dei gruppi in modo grossolano: gli alleati sono trattati come tutti amici e i rivali, o avversari, come tutti nemici. Insomma, come tutto bianco e come tutto nero. Si tratta di una difesa psichica di scissione in due sole parti del reale.

Così fanno anche i bambini. Lo sanno per primi i genitori che si trovano a vedere le categorie assolute con le quali i bambini tendono ad accettare di ragionare. Il buono è l’opposto del cattivo, il bianco lo è del nero, la luce è l’opposto del buio, il freddo è l’opposto del caldo, il dolce è l’opposto dell’amaro e così via…

Solo quando i bambini, dopo i sei anni, cominciano a percepire il ragionamento simbolico-astratto riescono poi, molto gradatamente, a porre nel loro pensiero un po’ di relatività e di paragoni rispetto ad un’unità modello.

Tale assolutismo spiega inoltre come mai si rovinano con tanta facilità vecchie amicizie, e nascono così spesso autentiche faide familiari.

Da sempre ciò forse è intuibile ed é comprensibile sotto qualche aspetto. 

In verità discutere tra esperti del settore, o della scienza, potrebbe avvenire serenamente e anche civilmente di storia, di musica, di cinema, di cucina, ad eccezione di escludere il calcio e i tifosi di molti sport.

Infatti non è solo il dibattito politico a degenerare in aggressività, ma anche alcuni ultra tifosi del calcio traducono le emozioni in violenza fisica. Anche a pensarci bene, la gelosia possessiva nelle relazioni  può sfociare in aggressività persino omicida!

Ma quello che importa è che invece di osservare le dinamiche del discorso, per quel che esso è, si attaccano i portatori dell’informazione. In fondo, è come se si attaccassero i postini perché portano brutte notizie, e per esempio recapitano una multa per divieto di velocità o altri atti giudiziari o peggio.

Sembra che per il nostro cervello infatti, a contatto della politica e dello sport, affondi la sua radice in qualcosa di antropologico che ha a che fare con la nostra identità paleolitica.

Aggiungo che queste trame psichiche fanno scattare una sorta di gelosia indomabile che riguarda il possesso ancestrale dell’oggetto inteso come immagine di qualcosa che deve essere percepito profondamente come proprio.

Per esempio, inconsciamente, è come se il cervello nella parte prefrontale delle corteccia esclamasse: la madre è mia e nessuno può portarmela via!

Per questa ragione, penso che sia possibile che anche certe persone fortemente possessive e gelose possano arrivare a comportarsi in certi modi parossistici.

Anche un tradimento che indubbiamente genera dolore a causa di un atto tanto inaspettato quanto sconvolgente, potrebbe essere meno devastante se non fosse collegato a trame psichiche antiche e profonde anche biologicamente.

Possessività archetipa, unita alla cultura antropologica, rompono ogni inibizione sul controllo.

Quando alcuni politici litigano, assumono a livello inconscio le difese di parti familiari intime e antiche e si attrezzano per far la guerra per la sopravvivenza.

Secondo gli autori dello studio svolto all’Università di Santa Barbara, il bisogno di difendere questa parte familiare antica è talmente forte che l’etnia d’appartenenza finisce per non contare un gran che come ci si aspetterebbe in genere, cioè il razzismo non influisce durante il litigio.

Il cervello tiene infatti costantemente traccia delle posizioni politiche delle persone che incontriamo, e nel farlo tende a lasciare da parte altri possibili indizi, come ad esempio la loro etnia.

I ricercatori hanno sottoposto un gruppo di volontari ad un esperimento, mostrando loro un breve filmato che riprendeva una conversazione tra otto persone di affiliazione politica opposta: quattro repubblicani e quattro democratici, di cui due di origine europea e due afroamericani per ciascun gruppo. Ai partecipanti è stato poi mostrato un breve frammento della conversazione del video, chiedendo loro di ricordare chi avesse espresso una determinata opinione.

I risultati hanno mostrato che i preconcetti sulle idee del gruppo misto riguardavano solo l’appartenenza all’affiliazione politica, e non influivano per niente sull’effetto del colore della loro pelle (risultato percentuale quasi nullo). Pensiamo al razzismo in Usa che solo dal 1973 è ancora presente, seppur in forma sempre più attenuata.

Quindi secondo i ricercatori l’etnia delle persone non sarebbe una caratteristica di per sé rilevante per il nostro cervello, quando è in gioco solo la politica, perché prevale la comunione d’intenti.

Secondo Pietraszewski (l’ideatore della ricerca),  in politica si guarda e si conta solo la squadra di supporto reciproco, perché  la nostra mente coglie solo il sistema di individuazione delle alleanze a meno che l’etnia non offra molti indizi a favore di preconcetti noti nella cultura corrente.

La ricerca però indica che le variabili età e sesso negli stessi gruppi politici, possono influire nei specifici circuiti cerebrali.

In altre parole, agli occhi di chi osserva giovani e belle donne o il contrario di giovani uomini anche per età e virtù, possono far emergere un certo preconcetto su un gruppo politico.

Penso che sarebbe opportuno che in politica, ma anche in tutte le situazioni come le squadre sportive, osservare e spiegare i propri punti di vista con il massimo della chiarezza senza aggredire le persone. Attaccare le idee e il pensiero, ma mai le persone.

Sarebbe utile che i discorsi della politica attuale, invece di mirare direttamente all’accusa di una persona per creare capri espiatori e distogliere le menti dalle concretezza della politica, si fermasse a criticare le sue idee.

Chi ascolta e partecipa, sia l’avversario politico che il pubblico, è costretto a subire dal protagonista politico tante digressioni e a perdersi per strada, senza essere capace di raccapezzarsi. Spesso ciò che resta dopo le esibizioni quasi teatrali non sono che divagazioni.

Gli attacchi generano capri espiatori solo svianti il tema e portano lontano da ciò che si vorrebbe capire o sapere.

Sarebbe meglio che gli oratori seguissero l’antico e classico modello di Cicerone e rendessero i discorsi aperti che vertessero sui capi importanti dei quali la gente si interessa.

Marco Tullio Cicerone, filosofo e avvocato nato il 106 a Roma a.C. e morto nel 43 a.C., scrisse oltre un centinaio di orazioni delle quali solo 58 ci sono giunte complete.

Fu noto come un oratore molto eloquente, ma non retorico, piuttosto asciutto.

Il suo maestro fu Apollonio Molone di Rodi e da Demostene colse lo stile e il modo creativo del discorso fluente. Nei suoi discorsi in tribunale mostrò uno stile creativo e innovatore.

Era comunque  un oratore essenziale e, al tempo stesso duttile. Sapeva essere solenne e altisonante, insomma riusciva a sintonizzarsi con il suo pubblico, spesso molto diverso, sia colto o alle prime armi nei discorsi popolari.

Il suo grande pregio era quello di sapere ascoltare e rispettare l’interlocutore.

Questo importante rispetto gli permetteva di creare un’atmosfera relativamente distensiva nel senso che egli si identificava con l’avversario, e veniva dalla sua parte per poi staccarsi dal suo pensiero e dal discorso per dimostrare che l’avversario aveva torto.

Otteneva così il consenso del pubblico.

Certo Cicerone rappresenta un modello di oratore romano eccelso che convince nel pieno rispetto dell’avversario sulla base di elementi concreti e per non aver mai tralasciato di alcun dettaglio pur di rendere chiare e convincenti le sue arringhe.

Mi sembra che pochi politici oggigiorno, nei loro dibattiti in Parlamento e Senato, sono in grado di rinunciare alle aggressioni ad personam.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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