Cos’è la bellezza?

Cos’è la bellezza?

A mio parere, bellezza è piacere, godimento e rispetto per una natura esistente che, da qualunque punto di vista venga osservata, è indipendentemente attraente, nel senso di godimento, cioè che suscita in noi felicità.

La natura può essere bella, o molto bella, e comunque ci riempie di gioia.

La bellezza non è solo riconoscibile da un punto di vista estetico ma anche da un punto di vista fisico, di stile anatomico, come quella contemplata dall’antica Grecia, quella di Venere, Afrodite, di Apollo o di Marte.

La bellezza di cui un oggetto è portatore, inoltre, non dovrebbe appartenerci, ma farci gioire per la sua stessa esistenza separata da noi e non per l’orgoglio che potrebbe suscitare in quanto lo possediamo e o perché ci appartiene in qualche modo.

Ha che fare con l’arte, ma non necessariamente.

Nel primo caso una montagna, un albero, un’insenatura del mare, un sasso, un fiore, una pianta, il colore del cielo, ecc. possono stupirci, incantarsi e offrirci gioia, buon umore, rispetto.

Nel secondo caso è bello ciò di cui l’uomo è stato artefice ed è stato in grado di costruire, di dare cioè all’oggetto, in quanto esistente, una caratteristica di spazio, forma, fattezza, colore e originalità che colpiscano tutti i nostri sensi. 

La bellezza in un certo senso è irripetibile, ma ci sono tante bellezze che colpiscono i nostri cinque sensi. 

Sempre nel secondo caso, tutto l’artigianato, che è opera dell’uomo, è espressione delle Belle Arti, della umana bravura, dell’artefice che ha creato l’originalità e che esiste e sopravvive nel nucleo di un oggetto che ne rappresenta l’essenza. 

L’epoca storica, sia interiore sia oggettiva e soggettiva, conta molto nella bellezza: la bellezza che gli antichi greci volevano non è assoluta, ma è sempre relativa, anche se il fascino ci può far pensare che non ci sia nulla di più sublime di quell’oggetto, un po’ come una musica divina. Le donne di una volta, dipinte nei quadri di grandi maestri o da loro scolpite, erano fatte di grossi corpi, con voluminosi seni e natiche abbondanti, ed eppure erano considerate bellissime. Pensiamo alla Venere del Botticelli.

Spesso la bellezza si cela dietro nessuna regola o modello, ma contiene un’originalità strabiliante che parla a noi in segreto.

La bellezza possiede uno spessore che è difficile da descrivere perché contiene una sua filosofia storica e ideologica.

Nel tempio di Delfi emerge Apollo, potente e bello, Dioniso, dio del caos e della sfrenata infrazione di ogni regola, e poi l’irresistibile Elena, la cui bellezza fa perdonare, anche a lei stessa, tutti lutti causati.

I filosofi pre-socratici come Talete, Anassimandro e Anassimene, fra il VII e il VI secolo a.C., discutono quale sia il principio di tutte le cose e indicano l’origine della realtà nell’umido, nell’indefinito originario, nell’aria. Loro tentano di dare una definizione del mondo come un tutto ordinato e governato da una sola legge.
Bellezza e forma sono la stessa cosa! Così affermerà Pitagora con il principio dell’armonia matematica. 

I pitagorici sono i primi a studiare i rapporti matematici che regolano i suoni musicali, le proporzioni su cui si basano gli intervalli, il rapporto tra la lunghezza di una corda e l’altezza di un suono.  L’idea dell’armonia musicale si associa strettamente a ogni regola per la produzione del bello.

Il bello dunque può essere un’essenza, un profumo, un’intensità di un colore che c’illumina lo spirito.

I rapporti che regolano le dimensioni dei templi greci, gli intervalli tra le colonne o i rapporti tra le varie parti della facciata, corrispondono agli stessi rapporti che regolano gli intervalli musicali. L’idea di passare dal concetto aritmetico di numero al concetto geometrico-spaziale di rapporti tra vari punti, è appunto un’idea dei pitagorici.

Anche Eraclito lega il bello all’armonia degli opposti mentre per Platone il bello sta nell’assoluto mondo delle idee.

La bellezza dei romani è rappresentata dalla poesia delicata di Catullo, Orazio, dalla oratoria di Cicerone.

Il brutto è spesso considerato un’antitesi al bello, una disarmonia che viola le regole di quella proporzione su cui si fonda il perfetto, che risiede nella bellezza sia fisica che morale, o una mancanza che sottrae a un essere ciò che per natura dovrebbe avere.

La bellezza è una invenzione e imitazione della natura. 

Nel Rinascimento, che significa rinascita, risorgere, la bellezza forse nasce sin dai tempi di Giotto, quando egli esalta il colore donato alle cose. Il colore è portatore di una rivoluzione abbagliante che coinvolge, ovviamente, anche il concetto di bello. Il Rinascimento è un periodo di valorizzazione per la donna, significa sfarzo imperante, luce che partecipa attivamente alle belle arti e alla vita delle forme del corpo.

Tuttavia, al corpo della donna, che si mostra pubblicamente, fa da contraltare l’espressione privata, intensa, di non facile decifrazione psicologica e talvolta volutamente misteriosa: ecco la misteriosa Gioconda di Leonardo.

L’uomo di potere è grasso e tarchiato, quando non muscoloso, porta e ostenta i segni del potere che tiene nelle sue mani ed è una violazione vivente di queste leggi secondo il potere e la forza di una bellezza inquieta e selvaggia.

Durante la riforma la bellezza classica è sentita come insulsa, priva di anima: ad essa i manieristi oppongono una spiritualizzazione che, per sfuggire al vuoto, si lancia verso il fantastico: le loro figure si muovono all’interno di uno spazio irrazionale e lasciano emergere una dimensione onirica o, in termini contemporanei, surreale.

Da dove sorge quest’ansia, quest’inquietudine, questa continua ricerca del nuovo? La rivoluzione copernicana e le scienze fisiche e astronomiche, le conoscenze scientifiche del tempo, esaltano la bravura tecnica dell’uomo da un lato ma lo deludono dall’altro, perché la scienza fa sentire il limite umano. Lo sgomento sembra cogliere l’artista che si vede aver perso il centro dell’universo.

Il Barocco potrebbe interpretarsi come una ricerca ostinata di nuove espressioni del bello: Il bello che attraversa l’esagerato, il vero che supera il falso, la vita che tenta di vincere con il manierismo ossessivo la morte. La dolcezza e mollezza sessuale del vivere del 700, tanto criticata da Leopardi,  il severo rigore logico illuministico ispirato a neoclassicismo, Canova e Winckelmann, si addice alla amoralità della borghesia e della nobiltà, elegante e in ascesa rispetto allo sprezzante mondo del popolo

Ecco la bellezza del pensiero Kantiano, con la Critica del Giudizio, che pone alla base dell’esperienza Il bello, cioè ciò che piace in maniera disinteressata, senza essere originato da, o riconducibile a, un concetto.

Il gusto del gotico e del nero affascina anche nella letteratura: il gotico è popolato da castelli e monasteri in decadenza, delitti tenebrosi e fantasmi. Si pensi a Bram Stocker con il suo Dracula il Vampiro, alla poesia cimiteriale, l’elegia funebre, a una tendenza all’erotismo mortuario, sepolcrale.

Perché l’orrore poteva provocare piacere in contrapposizione al bello, inteso come fascino dolce e delicato? Penso che l’orrore tolga il brutto, i fantasmi, e lasci il bello e buono, il sereno e l’azzurro del cielo, i sentimenti.

Ecco il romanticismo, la poesia soave che s’intreccia con i sentimenti che accarezzano il volto puro e il cuore, l’altruismo, la passione, l’amore. Tutto questo è il nuovo bello dell’epoca passata. L’individuo sale di nuovo sul piedistallo.

Ma la natura stessa appare oscura, informe, misteriosa: la malinconia notturna è il sentimento che esprime meglio questo immergersi e compenetrarsi nel mondo anche crudele.

Nasce il gusto per la malattia, per il vittimismo, il tenebroso, il demoniaco, l’orrendo, la morte.

In D’Annunzio, Joice e Proust, la bellezza sta nella decadenza, nel disfacimento, dove il floreale trionfa nel gusto del bello della vita.

Il poeta diventa lo scopritore del bello che rappresenta la verità nascosta alla luce. 

Nel ventesimo e ventunesimo secolo, dopo l’invenzione della macchina a vapore, si afferma definitivamente un entusiasmo estetico per la macchina, Marinetti scopre il mostro bello, la locomotiva come l’esaltazione futurista della velocità, simbolo reattivo dell’oscurantismo del passato arcaico.

L’arte contemporanea ha scoperto il valore e la fecondità della materia, un po’ come Leonardo quando disegna i suoi meccanismi, dedica alla loro rappresentazione lo stesso amore e lo stesso gusto che riserva alla rappresentazione di volti e corpi umani o a elementi del mondo vegetale. La macchina leonardesca si compiace di mostrare le proprie articolazioni, come se fosse una cosa animale.

Poi il cinema dei Lumiere e la bellezza diventano Greta Garbo, Rita Hayworth, Marilyn Monroe.

Oggi invdece diciamo semplicemente che è bello ciò che piace.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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