La povertà non permette stabilità psicologica

La povertà non permette stabilità psicologica

Capitolo I: La Povertà

A causa del mancato lavoro, come previsto ai primi segnali di rilassamento da Covid, la povertà è gravemente esplosa insieme alla crisi energetica che ha generato a sua volta inflazione economica: oggi la crisi dell’energia si diffonde in maniera assai preoccupante in Europa e per via della guerra deflagrata in Ucraina non sono poche le aziende che risentono gravemente della mancanza di gas e di energia elettrica generando ancora disoccupazione. In questa vasta area ancora una volta sono le donne assai più colpite. In generale, in professioni sanitarie o lavori sociali e di cura, le donne già rappresentano oltre il 70% della forza lavoro impiegata.

In Medioriente e Africa del nord, appunto si stima che le donne che hanno già subito la perdita del posto di lavoro a causa del solo Covid-19 ammonta a circa il 50%.

A parte la disoccupazione, già esiste il fenomeno dei working poor, cioè di adulti che, pur lavorando, non guadagnano a sufficienza per liberarsi della povertà.

Inoltre preoccupa anche il tema del disagio psichico dei giovani e della povertà educativa,  cosicché immaginando i giovani nel futuro del nostro Paese, tale povertà ci preoccupa.

L’identità italiana dei giovani è in discussione a confronto di quella di altri europei perché sono scarsi i punti di riferimento domestici in una società multi nazionale che richiede di accettare continui cambiamenti provenienti dall’esterno.

L’immigrazione di molte famiglie ucraine a causa della guerra verso i Paesi dell’Europa avviene massiccia ogni giorno di più e altrettanti sono i giovani provenienti da Africa e Medio Oriente.

L’attuale crisi energetica e la guerra ci fanno percepire una minaccia che certo l’umanità non merita, considerando che a livello globale non siamo ancora usciti dalla guerra contro il virus subita da quasi tre anni. Siamo ora alla soglie di un altro gravissimo conflitto e seppur indiretto ci troviamo tutti vittime di incertezze psicologiche e incubi davvero inaspettati dalla popolazione.

Infatti da un punto di vista economico la situazione attuale è paragonabile a quella di quasi cento anni or sono quando un gruppo di miliardari dopo la guerra del 1915/1918 riuscì sulla fase di ricostruzione ad arricchirsi in modo spropositato aumentando le disuguaglianze economiche, sociali e di genere preesistenti.

Se il virus è stato giusto nel colpire tutte le classi sociali con il contagio, è ora decisamente ingiusto da un punto di vista economico: anche oggi un gruppo di miliardari ha continuato ad accumulare ricchezza in questi due anni tanto da far pensare alla Grande Depressione del 1929 quando miliardi di persone sono scivolate in pochi anni nella più cupa povertà.

Capitolo II: La Stabilità

Ora consideriamo che da un punto di vista psicologico una persona acquista sicurezza sulla base delle strutture psichiche che si costruiscono dalla nascita sin dai primissimi anni di vita. Tali strutture psichiche includono le modalità dei contatti con il piccolo insieme a meta-messaggi affettivi che debbono essere coerenti da parte delle figure accudenti.

I modelli di identificazione verso chi si prende cura e altri incontri con figure caregiver, come assistenti di asilo, insegnanti delle scuole, ecc., lungo l’età evolutiva dei ragazzi contribuiscono a formare in loro un senso di identità più o meno stabile.

Tuttavia la stabilizzazione di una persona significa che il senso di Sé, cioè l’immagine complessiva del proprio corpo e della propria identità psichica, dovrebbe poggiare sull’antica infantile fiducia di base particolarmente legata alla figura materna.

Ma l’edificio psichico in età adulta, seppur costruito su sane fondamenta (e ciò implica che le antiche radici siano appunto formate su stati di attaccamento sicuro da almeno una delle figure accuditive), dovrebbe continuare a evolversi e a progettare il futuro.

L’adolescente dovrebbe essere pronto ad immergersi in situazioni nuove e propizie per realizzare i propri desideri, in questa epoca, abbastanza chiari.

La mancanza del lavoro invece conduce il giovane adulto verso un senso di deprivazione che rischia di indebolire quanto si è ben costruito di buono in lui. La povertà materiale finisce per ridurre l’autostima di un giovane che tende a colpevolizzarsi di non essere riuscito a sentirsi autonomo.

La conquista dell’autonomia implica di solito, e da un punto di vista logico, la conquista di una certa indipendenza.

L’indipendenza però richiama un concetto più materiale che psicologico.

Essere indipendenti significa spesso essere in grado di dimostrare a se stessi e quindi agli altri di potere arrangiarsi per conto proprio, magari svolgendo un lavoro retribuito o un’attività necessaria a qualcuno senza dipendere troppo da altri. Si tratta di un primo passo di indipendenza che permette il giovane adolescente sia incoraggiato a proseguire con fiducia il suo percorso di vita: l’indipendenza quindi aumenta la propria autostima.

Non è raro vedere ragazzi che svolgono l’attività di raider con la loro bicicletta o motorino, alcuni aiutano un parente nella sua attività per guadagnare qualche soldo. Spesso qualche giovane, già iscritto all’Università, prova a insegnare privatamente qualche materia di studio che ben conosce o si adopera se esperto in informatica a impiegare qualche ora nell’insegnare a padroneggiare i computer, ecc..

L’autonomia psicologica però, seppur incoraggiata dall’indipendenza, non è per tutti semplice. Perché?

Autonomia significa saper ascoltare i propri desideri e non essere vittime dei propri bisogni urgenti che, specialmente durante l’adolescenza, premono intensamente per ottenere immediata gratificazione di ogni tipo. L’autonomia richiede un autentico contatto con le proprie preferenze, una buona assimilazione nel valutare ciò che è relativo, sapendo in modo spontaneo rinunciare alle aspettative, tipiche degli adolescenti, di assolutismo e di perfezionismo. Anche i meccanismi difensivi delle possibili idealizzazioni, quelle che coprono ciò che è più difficile accettare, dovrebbero essere assai ridotte.

Si tratta di saper ascoltare il punto di vista degli altri e ovviamente saperlo rispettare senza imporre il proprio punto di idee.

Saper gestire una propria relazione affettiva, come saper accettare di stare in un gruppo caratterizzato dagli stessi fini progettuali, è importante per guadagnare qualche punto verso una certa autonomia.

In altre parole, essere indipendenti è certamente un primo importante passo verso la gestione soddisfacente della propria vita nel futuro, ma non significa essere anche autonomi, anche se le due funzioni possono procedere di pari passi e integrarsi tra loro.

Tante sono le persone, anche di età matura e spesso anche anziani,  che si rivelano ancora compulsive e fortemente psico-dipendenti da altre persone o addirittura da sostanze.

Alcuni di loro, seppur ricoprendo cariche professionali considerevoli, non sono a livello psicologico autonome e pertanto continuano a dipendere pesantemente, da qualcuno o da qualcosa (e non in modo relativo), tanto da essere costrette ad una vita limitata e sacrificata. Queste persone spesso apparentemente rassegnate sono depresse perché si accorgono che i loro autentici desideri sono stati decapitati forse per sempre.

L’autonomia psicologica richiede innanzitutto di poter ben elaborare la inevitabile e primaria dipendenza della famiglia verso una relativa appropriazione del senso di Sé.

Perché tale appropriazione risulta spesso tanto difficile?

Quando noi siamo bambini abbiamo veramente bisogno di percepire di essere ben compresi dalle figure accuditive che, di solito coincidono con i nostri genitori verso i quali ci rivolgiamo per affidarci completamente.

Per affidarci però abbiamo bisogno di sentire che la sponda a cui ci abbandoniamo per andare avanti nella crescita è effettivamente robusta. Ma la robustezza è realmente percepita solo se si avverte di essere compresi nel nostro intimo e profondo, ossia quando i genitori nell’essere vicino a noi si identificano e colgono la nostra ingenuità, impulsività e ridotta capacità di distinguere tra le cose. Nella posizione di bambini ben percepiamo quando chi si cura di noi è propenso a fidarsi, per esempio nel lasciarci liberi di compiere certe azioni, perché effettivamente si fidano di noi e perché infatti, siamo in verità in grado di agire con avvedutezza verso l’esterno.

I genitori spesso sono in grado di percepire il nostro mondo interno meglio di come lo percepiamo noi stessi.

Ma non sempre è così, e qualche volta i genitori vanno molto in ansia e hanno bisogno di iper controllare e così costringono i figli ad adeguarsi con fatica a regole severe, rigide e anche inutili se non dannose perché funzionano come tamponi per bloccare l’ansia dei genitori e solo per rassicurare se stessi.

Temono che il loro bambino si allontani dal loro controllo un po’ troppo. Decidono che il piccolo sia inadeguato a comprendere e conoscere certi aspetti della vita. In molti casi hanno ragione, ma accade che invece il piccolo bambino dentro di sé sta crescendo; magari è già padrone di certe esperienze nuove che ha imparato a conoscere sulla base di altre sperimentate in precedenza. In questi casi, chi si prende cura se potesse comprendere la situazione, sarebbe meglio che lasciasse il piccolo libero di sperimentare le novità anche per sentire accrescere la fiducia in se stesso. Se il bambino non ha sentito in molte situazioni la libertà di sperimentare le cose del mondo, non sente il coraggio in se stesso,  quel sentimento di forza che all’inizio della vita dovrebbe essere propulsiva per il futuro.

Se il piccolo non si sente in modo sufficiente confermato da chi si prende cura di lui, allora potrebbe crescere con certe insicurezze e immaginare poi la separazione dai genitori come una tragedia. La separazione, quando i figli sono più grandi, riguarda un processo di differenziazione del Sé dall’altro. Se i ragazzi non hanno maturato in se stessi una convinzione del loro valore delle loro forze psichiche per progettare una vita al di fuori della famiglia la separazione da questa potrebbe essere rimandata continuamente anche quando è adulto.

La distinzione tra Sé e i genitori cioè da uno stato simbiotico come evoluzione psichica può essere temuta e vissuta come abbandono e come perdita irrecuperabile e rimandata all’infinito.

Il vissuto abbandonico inoltre può essere vissuto anche dai genitori stessi quando sono ansiosi e ciò ovviamente non aiuta rispetto all’autonomia dell’adolescente.

Capitolo III: La Disoccupazione

Si può comprendere come il giovane adulto quando è disoccupato operi a vuoto nel tentativo a volte disperato di trovare un posto che è importante anche per guarire da una dipendenza che dall’infanzia non è ancora risolta e che si protrae da anni.

L’identità di un adulto  si fonda in buona parte da ciò che è in grado di fare e che viene riconosciuto dagli altri.

Il lavoro offre oltre che un’indipendenza economica, che a sua volta garantisce di fare delle scelte sul proprio stile di vita, un senso di dignità e di degnità.

La dignità che il lavoro promuove implica in tutti gli esseri umani, e in particolare nel giovane adulto, un senso di rispetto per se stesso e potenziale passione verso le cose che si fanno e anche si possono creare. Egli si sente integro in se stesso e si compiace della propria indipendenza e forse anche di autonomia.

Il proprio lavoro, specialmente quando è scelto, può offrire un senso di piacere e di coscienza di Sè nel proprio fare.

Le persone disoccupate non vanno etichettate come parassiti sociali, fannulloni o altro; quasi sempre le persone povere si sentono colpevoli, ma sono sopra tutto vittime di un sistema e quindi vanno aiutate cercando di comprendere come sono arrivate alla stessa povertà.

In realtà l’incapacità di trovare il lavoro giusto dipende da molte cause che vanno esaminate con calma e cercando la collaborazione di squadra.

La politica dovrà risolvere i problemi strutturali dell’economia che causano a tanta gente la mancanza di un lavoro e che  quindi porta alla povertà.

La indegnità spesso deriva dalla stessa disoccupazione e porta alla sensazione predominante che alberga in una persona senza lavoro, cioè di non poter entrare nel club dei lavoratori perché egli è incapace, debole. Chi si sente gravemente indegno può sentirsi vergognoso di se stesso perché si sente immeritevole e  inesistente.

E’ utile ribadire che la guerra della quale non conosciamo le future conseguenze, ma che già si profilano disastrose, è un evento folle che castra le nostre attività e che penalizza i giovani nel loro avvenire. Nella speranza che tale attuale incontrollabile situazione trovi presto un suo contenimento, mi auguro che i futuri interventi politici rompano la struttura a spirale che vede la disoccupazione e la povertà intrappolata.

Si debbono cambiare alcune dinamiche delle quali il nostro sistema e Paese è vittima essendo scivolato ancor di più recentemente in un fondo senza uscita. Si tratta di mettere tra i primi posti il rinforzo del tessuto sociale trasformando un sistema troppo assistenzialistico in un sistema che motiva e premia il lavoro.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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