La personalità perversa

La personalità perversa

Si tratta di un’organizzazione della personalità caratterizzata dal bisogno di mettersi al riparo da conflitti inconsci primordiali: spesso sono dovuti a vissuti mortiferi con il fine di sentirsi esistenti e di sopravvivere alla sensazione di autodistruzione che queste persone attuano di continuo.

Penso a una persona che è caduta e sta per essere inghiottita dalle sabbie mobili, di quelle sabbie veloci e implacabili che non lasciano scampo. Per sopravvivere la vittima si aggrapperebbe a qualunque oggetto in grado di salvarlo, anche ad un altro essere umano: agganciandololo lo potrebbe trascinare nelle sabbie pur di uscir fuori da esse, ignorando ogni scrupolo morale.

L’essere umano carpito, da chi sta sprofondando, in quel momento diventa un puro strumento di sopravvivenza e in questo caso drammatico potrebbe esser sacrificato senza alcuno scrupolo da chi vuol salvarsi che, in questo caso, designa la persona perversa.

Si tratta di una metafora, ma non tanto lontano dalla dinamica delle realtà psichica del reale perverso.

Il perverso non sente di dover nulla a nessuno, non si sente figlio di nessuno, gli altri non esistono, poiché egli si sperimenta al di sopra e al di fuori di ogni criterio sociale, etico e morale.

Al perverso l’altro serve ed è importante, ma lo vede solo per strumentalizzarlo e non per un altro tipo di relazione.

Per il perverso se gli altri esistessero al di fuori di una relazione nella qual sono manipolati da parte sua, costituirebbero nel suo vissuto profondo un seria minaccia.

In altre parole, la perversione sembra una difesa contro la minaccia rappresentata dal fatto che l’altro o altri essere umani esistono e metterebbero in crisi l’esistenza del perverso.

L’altro, per il perverso, è sempre un estraneo e deve essere soggiogato e strumentalizzato.

Le perversioni che si incontrano clinicamente sono di livello differenti. Le persone che si rivolgono allo psicoterapeuta non percepiscono il disagio della loro perversione. Tali sintomi sono ego-sintonici, cioè non risuonano nel mondo interiore del paziente come disturbi così come noi non ci accorgiamo delle nostre articolazioni quando funzionano normalmente.

Questi pazienti si rivolgono allo psicoterapeuta per altri disturbi, come l’insonnia, un disturbo cardiaco, ecc..

In apparenza queste persone sembrano comuni, ma solo con il contatto relazionale ci si può accorgere che ascoltano poco, non considerano l’interlocutore, pensano ad altro, sono distratte, ermetiche, insofferenti per qualcosa.

Se però si inizia con loro un rapporto, i perversi diventano seduttivi e prendono la parola e in certi momenti diventano anche carismatici. Ma attenzione è qui che può scattare la manipolazione per qualche fine.

Certi fantasmi persecutori si mettono nel mondo del perverso in moto e chissà come questi fantasmi potrebbero essere proiettati fuori sulla persona sulla quale hanno posato la loro attenzione.

La patologia perversa è sempre anche narcisistica e quindi i soggetti sono costretti a cambiare le carte in tavola per appropriarsi dello spazio dell’altro senza che inizialmente nessuno se ne accorga.

Gli altri nelle relazioni appena cominciate sentono un peso che entra nello stomaco: si tratta di un’appropriazione indebita da parte del narcisista perverso del mondo dell’altro. I legami reali che contraddistinguono gli incontri vengono infranti con disinvoltura, ma nessuno lì per lì se ne accorge. Il perverso entra con le angosce non riconosciute e con il suo diniego nel nostro intimo lo invade con la sua manipolazione.

I sentimenti da ambivalenti in poco tempo diventano di odio e faticosi da sopportare e noi, se siamo in tempo, riusciamo a levarci da quella situazione.

A volte però occorre molto tempo per accorgersi di essere inconsapevolmente dominati dalla persona perversa.

Tutti noi normalmente, spontaneamente, vorremmo essere considerati, essere visti dalla persona, ma questa ci fa sentire invisibili e assolutamente sottomessi come oggetti di cui godere per scopi a noi sconosciuti.

E’ così che si sentono certe donne o uomini in una relazione amorosa investita di molta gioia iniziale, ma che poi precipita in una situazione senza uscita. Questi partner stanno male e non sanno perché, non sapendo riconoscere nella relazione la causa profonda della loro sofferenza che coincide in realtà con una profonda svalutazione di Sé che hanno ricevuto dal contatto con il perverso.

Con il passare del tempo la vittima in tale relazione perversa sente d’impazzire.

Il perverso siccome non tollera che gli altri esistano oltre se stesso, ha bisogno però che la testimonianza di non esistere dell’altro provenga dalla presenza stessa di chi non deve esistere.

In altre parole, è come dire: tu devi esserci per dirmi che sei distrutto.

Il pensiero perverso non crea, ma distrugge per sua natura tutto ciò che non è se stesso.

Il soggetto perverso sopravvive solo se manipola gli altri. A lui non interessa niente dei valori, degli affetti del mondo, di ciò che è vero o falso, se gli altri soffrono a causa sua.

Il suo fine è salvarsi dalle sabbie mobili, cioè da un senso di morte che egli ha, forse interiorizzato, non si sa quando, forse poco dopo la sua stessa nascita in uno stato sensoriale catastrofico.

Certe persone che convivono con il perverso dopo un po’ di tempo sono portate a mettere in atto quell’odio che avvertono in sé proveniente dall’esterno, ma del quale si debbono liberare (enactment). Possono per esempio colpire con violenza il pervertito/a non sopportando più il senso di morte che hanno assorbito inconsapevolmente.

Lo psicoanalista Kernberg, parla di una scissione strutturale del Sé nel perverso che promulga nell’altro come scissione funzionale che in certi casi viene agìta perché non più contenibile.

Difficile curare questi pazienti perché non sopportano la situazione di cura in sé che è invece necessaria mantenere nelle psicoterapie, ma è quasi sempre destabilizzata da attacchi che la pervertono.

Siccome questi pazienti negano il loro malessere,uo che i clinici osservano e confermano, si può dire che solo i casi meno gravi possono essere abbordati per un tentativo di rieducazione emotiva.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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