Perché alcune maestre d’asilo maltrattano i piccoli?

Perché alcune maestre d’asilo maltrattano i piccoli?

I bambini piccoli non sanno distinguere ciò che è lecito o non lecito come gli adulti. Questo spiega perché non lamentano certi comportamenti di abuso violento da parte delle educatrici. E’ come se dicessero: se lei mi picchia si vede che ho sbagliato e in questo ambiente vigono certe regole che puniscono. Del resto anche gli altri miei coetanei subiscono come me. Non posso dirlo al babbo, né alla mamma perché forse mi sgriderebbero di più!

Per spiegare il demoralizzante fenomeno, riguardante alcune educatrici le quali dovrebbero aiutare a fornire un’impostazione corretta ai bambini e migliore, nel caso ce ne fosse bisogno, mi sento di riferirmi all’educazione originaria che le stesse maestre hanno a loro volta ricevuto.

Alcune tra le lettrici e lettori ricorderanno che, circa cinquant’anni fa’, i genitori punivano facilmente i bambini con percosse misurate e schiaffi per farsi obbedire rapidamente dai figli. Se non ti sbrighi, questa volta le prendi le botte, stai attento che la mamma si è stancata di aspettare che tu faccia quel che ti ho detto! – urlavano alcuni genitori.

La cultura educativa, specialmente nel Sud Italia oggi diffusa in tutta la nazione, è stata, in passato concepita con l’inclusione di percosse materiali e altre sadiche rivalse, in buona fede sia da parte della mamma, sia da parte del babbo.

Le maestre praticavano, seppur raramente, il gesto, persino con l’approvazione di parte dei genitori. Ricordo io stesso che in prima elementare la maestra spesso allungava, come lei le chiamava, alcune scoppole ai ragazzi, perché parlavano ripetutamente in classe senza obbedire alle consegne.

Chi subisce violenza s’identifica con l’aggressore e apprende un tale metodo difensivo per accettare la violenza stessa come suggeriva lo stesso S. Freud a suo tempo.

Osserverete voi lettrici e lettori che il mondo sociale è estremamente cambiato per fortuna!

Effettivamente il mondo sociale si è enormemente trasformato rispetto all’educazione dei piccoli, degli adolescenti e a tanti aspetti correlati.

Le maestre che maltrattano i bambini si comportano come certi poliziotti americani che, invece di proteggere i cittadini, verso alcuni di loro, predominando in alcuni casi negli agenti la paura di essere colpiti da armi da fuoco, perdono il controllo e sparano sui sospetti, magari proprio quelli che hanno la pelle scura.

Ora a parte che la violenza subìta chiama violenza in qualunque momento della vita e che l’addestramento professionale culturale, quando avviene, non è in alcuni soggetti sufficiente a fare prevalere il comportamento educativo corretto sulle abitudini assorbite in passato, procediamo nella mie considerazioni.

I concorsi per le educatrici valutano solo le risposte positive alle domande scritte o orali dei candidati, ma non vengono esaminate le capacità umane e le predisposizioni psicologiche alla educazione infantile.

A mio parere può molto contare il rapporto che le educatrici intrecciano con i genitori. In molti casi non è buono e sembra sia molto conflittuale. Ciò non aiuta le relazioni e l’aggressività può riversarsi sui bambini. Il rapporto con i genitori dovrebbe essere armonico.

La mole didattica a volte è assai impegnativa e stressante e in persone che già sono convinte che il metodo antico sia il migliore per farsi obbedire non passa molto tempo che la configurazione del rapporto all’interno dell’asilo assuma un atteggiamento violento.

Il burnout cioè un certo esaurimento per gestire difficoltà alle quali le educatrici, non più giovanissime, genera un clima insopportabile all’interno del contesto dell’asilo.

Non possiamo escludere che nelle maestre patologie psicopatologiche correlate con la loro professione, ma spesso anche personalissime e assai nevrotiche o più contribuiscono a mettere tutto in atto attraverso abusi inaccettabili.

Occorre una selezione accurata circa la professionalità delle educatrici quando vengono abilitate al lavoro pratico. Ciò avviene per i medici, gli psicologi, senza citare gli psicoterapeuti che vengono molto formati nella pratica clinica per molti anni e tante altre professioni.

Essere laureati in medicina e fare il medico esiste un mare di differenza. Un laureato in medicina senza una seria abilitazione è come se fosse laureato in scienze naturali.

L’educatore che non è stato supervisionato durante le esperienze pratiche è come se si fosse laureato lettere moderne, specialmente dovendo operare in una società diventata sempre più complicata.

 

 

 

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Posso osservare come in alcuni ambiti formativi sia più valorizzata la competenza pratica a volte a scapito di una preparazione che integri aspetti teorici ed emotivi: penso. per esempio, alla modifica di alcuni percorsi di laurea.

    Sembra quasi che “fare”, a mio parere, sia più economico e meno dispersivo del formarsi per “essere”: porto l’esempio di un’insegnante elementare, chiamata, insieme ad alcuni altri colleghi, a sgombrare aule per coprire il monteore pagato: mi chiedo perchè, invece, non occupare lo stesso tempo per la formazione su ambiti specifici cioè orientati ad aventuali problematiche sentite come rilevanti o per ampliare le competenze anche psicologiche?

    Mi domando se la paura sottostante sia più quella di confrontarsi con se stessi?

    Raffaella

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