Mi riferisco a una coppia, intesa come legata non necessariamente dal vincolo matrimoniale o dalla convivenza, ma da una relazione stabile ed esclusiva.
Questa tipologia di coppia, come tante altre, litiga spesso e anche in maniera seria.
Capita che uno dei due, se non entrambi, decidano di chiudere per via delle grandi incrinature perché in quel modo non si può più andare avanti.
Al tempo stesso, entrambi sperimentano sentimenti di forte attaccamento, a volte morboso, che causa sofferenza ai due partner, specialmente quando alimentano fantasie catastrofiche alla sola idea di separarsi.
Ad un certo punto ci si domanda se la dipendenza simbiotica che entrambi vivono personalmente non diventi nella fantasia una sorta di prigionia, e che la causa dei litigi sia espressione della protesta della coppia a causa della dipendenza e quindi equivalente a un senso di soffocamento.
La dipendenza affettiva tipica dell’infanzia e cioè fondamentalmente psicologica, non piace a nessuno perché si conosce che l’individuo non è più libero di scegliere ciò che desidera, ma egli sente le sue ali di libertà tarpate dal bisogno urgente di tenere l’altro a Sé.
Con il trascorrere dei mesi durante una fase di un periodo burrascoso per la coppia, uno dei due decide di prendere la fatale decisione di lasciare l’altro per sentirsi libero/a mentre entrambi anelano alla libertà.
La situazione non si presenterà semplice. Questa coppia potrebbe continuare a litigare con recriminazioni reciproche e pianti disperati, con grande sofferenza e rabbia di entrambi, con minacce e ricatti inaspettati e deludenti, rispetto all’immagine che si aveva l’un dell’altro della persona conosciuta in passato.
Un bel giorno, entrambi si svegliano al mattino con l’idea di perseguire con orgoglio e dignità l’idea di libertà. D’accordo, ognuno per la sua strada, te ne pentirai ! – rivolgendosi al partner che ha proposto la decisione per primo.
Da quel momento nasce l’idea che non ci sia nulla di male mantenere un minimo di amicizia civile.
Lei o lui decide di telefonare o di inviare un what’s app all’altro chiedendo come stai? L’altro risponde qualcosa e propone di rivedersi con lo scopo di andare a vedere quel famoso film che avevano avuto in programma di vedere insieme. Perché no, ma come amici? Risponde lei o lui.
Dopo il cinema, vengono un sacco di idee a entrambi per rivedersi: un aperitivo, una passeggiata, a casa di amici, ai quali non si detto nulla sulla fine del loro rapporto, e infine i rapporti sessuali in modo trasgressivo, uno dopo l’altro, riprendono.
La vita di coppia dunque riprende senza che venga riconosciuto, perché l’atto di essersi lasciati è stato compiuto in modo sacro.
La distanza è stata presa, si è liberi! Il mattone è stato gettato via dallo stomaco.
Naturalmente niente di male, ma cosa implica questo atteggiamento?
Che sia molto difficile lasciarsi è noto, specialmente quando il rapporto è sorto in momenti particolari di bisogno che riattivano arcaiche ferite della prima infanzia, mai risolte.
Comunque ogni rapporto amoroso anche autentico e maturo, nelle migliori della ipotesi per molte ragioni, pena, affettività , tenerezza, autentico amore, attiva vari tipi di legami che sono difficili a essere elaborati.
La confusione mentale su ciò che si vuol veramente decidere, rimane e i problemi verrebbero riproposti con l’andare del tempo, a meno che la base del rapporto sia veramente fondata.
Ciò significa che le due persone siano d’avvero importanti l’un per l’altro: in tal caso frequentarsi come prima potrebbe costituire la soluzione migliore, perché corrisponde ad un autentico desiderio.
Io ti accetto dentro di me e viceversa, non vedo perché tenerti fuori, cioè sento te che amo, compenetrarsi in me e naturalmente viceversa.
In tal caso positivo della coppia, bisognerà risolvere l’angoscia della dipendenza.
Non sarebbe chiaro perché amando l’altro, si debba al tempo stesso sentirsi in gabbia.
Certo che se si soffre di dipendenza totalizzante (analitica), non si è liberi di sapere ciò che si cerca.
Se l’altro non è un nemico, perché viverlo come il tuo carceriere?
Oppure se l’altro è vissuto come un nemico, occorre riconoscere che sta prevalendo il bisogno di dipendere e di non perderlo?
Chi rappresenta l’altro? Il genitore ideale che avresti voluto avere e che non hai avuto o che hai perduto? Si comprende allora che una volta idealmente ritrovato sotto forma di partner, non puoi più perderlo?
Si tratta di un pasticcio che si riproporrebbe all’infinito, causando sofferenza e insicurezza, non sentendosi mai liberi di viver la propria vita. La vita adulta ha un limite e quel che conta d’avvero si prende, cioè si cerca di aver gioia concreta, palpabile?
Vivere nella confusione non aiuta: o si é amici oppure si ha una storia veramente godibile.
Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Ad oggi vivo molte esperienze di vita: cinema, cene con le amiche, shopping per curiosità, momenti di svago, non necessariamente nel luogo dove vivo poichè ho notato quanto altrove, a mio parere, ci siano più scelte e possibilità.
Questo atteggiamento mi ha molto aiutato a capire che essere soli ( non abbandonati) squalifica a livello individuale, ancora prima che in coppia, l’atteggiamento descritto nel post, poichè quest’ultimo lo vedo un poco come essere insieme per paura, anche la sessualità, in questo caso, mi sembra avere questa funzione: triste ed inutile.
Allora non è molto meglio o crescere individualmente prima di essere una coppia o perdersi di vista?
Raffaella