Il temuto sentimento di dipendenza dell’essere umano

Il temuto sentimento di dipendenza dell’essere umano

Sin da quando si è bambini, ma non più all’epoca neonatale, da un punto di vista psicologico si evidenziano due tendenze, una mira all’indipendenza, disobbedendo parzialmente alle figure accudenti, e l’altra mira invece a mantenere la dipendenza di sempre, lasciandosi guidare e accudire totalmente.

In altre parole, la dipendenza è da un lato fortemente cercata, dall’altro analogamente osteggiata.

Si parla da Freud in poi di ambivalenza verso le figure familiari perché ricordano ai bambini la loro impotenza.

Naturalmente il più delle volte prevale nei bambini il sentimento di sicurezza e protezione, che i genitori dimostrano di offrire e sperimentare nei confronti dei piccoli, di amore e insegnamento.

Spesso l’ansia genitoriale è esagerata, in particolare da parte materna e potrebbe così risultare iperprotettiva, invadente e anche soffocante: questa atteggiamento aggrava il bisogno inconscio del bambino di evadere e trovare un senso di personale libertà dalle regole familiari.

Il bambino con l’indipendenza attuata spesso in maniera infantile cerca di trovare una propria identità e di costruire una certa sua personalità. Disobbedire può essere un modo per sentire di esistere in modo separato dai genitori o dalle persone che si prendono cura.

Alcune difficoltà della vita adulta, a seconda dei pericoli e delle angosce esistenziali sperimentate anche non gravi, portano a pensare di chiedere aiuto a qualcuno.

Spesso si cerca tra le amicizie, si cerca un consiglio, di comprendere la situazione nella quale si è caduti, ma si ottiene poco aiuto.

Perché?

Gli amici e le amiche, pur interessati ad aiutare, non sanno offrire molto supporto perché cadono nella confusione anche loro di fronte a problemi psicologici ai quali non sanno dare una risposta chiara a partire da se stessi, quindi non possono aiutare nemmeno loro.

Gli amici offrono spesso consigli che non tengono conto dell’altro ma sperimentano di agire come a loro piacerebbe e non come potrebbe essere utile all’altro interessato a comprendere ciò che è meglio per lui.

Molti finiscono per dar retta al primo o a chiunque perché a quel punto non si sa cosa fare, che pesci prendere.

I genitori ormai sono molto lontano perché le epoche psicologiche sono troppo cambiate e non riescono a mettersi nei panni dei figli.

Anche se ci riuscissero, non sono nella posizione di interferire se non con idee che sembrano superate, oppure che suscitano reazioni umilianti da parte dei figli e che non possono essere da loro personalizzate mentre risuonano come copioni moralistici del passato.

I consigli li potrebbero dare le persone più anziane, i saggi, i maghi, le cartomanti, che potrebbero essere anche loro sagge, ma spesso risultano un’altra illusione, inattuabile.

E allora?

Qualcuno sospetta che tale per tale impotenza che riguarda cosa fare, come risolvere o alleviare problemi dolorosi bisogna rivolgersi a un esperto. Si pensa cioè, o si è suggeriti, di rivolgersi a uno psicoterapeuta o uno psicoanalista che potrebbe aiutare a cambiare le prospettive di vista per aprire psicologicamente un’epoca contestuale differente favorendo la promozione di passi avanti in senso evolutivo e maturativo verso una maggior autonomia di Sé.

Ecco che si riaffacciano le antiche ambivalenze appartenenti all’infanzia e adolescenza.

Avrei bisogno, ma ho paura di diventare dipendente da chi mi aiuta per sempre.

In realtà questo problema non esiste.

Non sarà come all’epoca dei genitori, o di chi ne fa le veci, maestri, insegnanti e professori che non sanno come funziona l’elaborazione, cioè la digestione, di antichi o recenti conflitti inconsci rimasti sullo stomaco, anche se non ce ne accorgiamo.

Il lavoro relazionale della psicoterapia si basa proprio sul clima psico-emotivo della relazione stessa: la relazione riproduce come in un copione i problemi stessi da risolvere.

Non si tratta di avere consigli giusti nè di qualità superiore a quella di altri, ma di comprendere autonomamente ciò che si desidera e di cui si vuole appropriarsi come parte di Sé.

Si tratta di un serio e professionale gioco emotivo interattivo che risponde alle dinamiche profonde non consapevoli che pongono se stessi davanti a un muro invalicabile.

Sotto questa prospettiva cambia la prospettiva completamente.

Spesso le stesse resistenza alla psicoterapia nascono dagli stessi problemi del colore della dipendenza, quella sperimentata in varie circostanze, quella che trova l’individuo impotente perché legato ad alcuni affetti che agiscono nel profondo di Se stessi.

Affrontare quella minacciosa dipendenza avvertita a distanza significa affrontare il nucleo di molte insicurezze di base.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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