Perché ascoltare la musica può persino far piangere?

Perché ascoltare la musica può persino far piangere?

La musica può attivare un’infinità di emozioni. Kirill Fayn ricercatrice dell’Università di Sydney lo sostiene tramite uno studio condotto su circa 1000 persone dimostrando come da colonne sonore tratte da film e musica specialmente del passato, si possa trarre l’effetto di attivare ricordi e momenti mnestici sensoriali assai significativi. Queste memorie possono riattivare nella mente in modo incredibilmente lucide, intere epoche all’interno delle quali certi avvenimenti erano accaduti anche moltissimo tempo prima. Mi sembra che sia accaduto ieri !- Così qualcuno si esprime e si riferisce a 80 anni prima.

La musica nel nostro mondo interno sembra che non abbia tempo.

Si tratta di memoria evidentemente emotiva che attiva un‘intelligenza introspettiva.

La musica può riferirsi e attivare esperienze rimosse quindi che giacciono al di fuori della coscienza attuale, quindi che inconsce. Secondo studi recenti già nel periodo del quinto/ sesto mese il feto può percepire la musicalità e il timbro della voce materna che potrà memorizzarsi nella memoria implicita, cioè mai rimossa perché il soggetto in stato fetale non aveva allora raggiunto il minimo livello di coscienza per conservare una memoria esplicita, narrativa. Si tratta quindi di una memoria sensoriale, corporea cioè che il corpo ha percepito e che mantiene le sue tracce. Ebbene la musica connessa con quel periodo percepito allora sembra che possa attivare stati sensoriali che risultano già conosciuti, diremmo familiari.

In seguito la musica può produrre contatti immaginativi che dal corpo coinvolgono la mente generando felicità, tristezza, colpa, vergogna, nostalgia, rammarico, In base al tipo di musicalità già a suo tempo percepita, il soggetto cosciente può ottenere in certi momenti sensazioni che variano da emozioni luminose a quelle più cupi. Già lo psicoanalista Renè Spitz negli anni 40/50 con depressione anaclitica descrive la reazione devastante e mortifera causata dall’interruzione della simbiosi tra madre bambino a pochi mesi di vita. La separazione continuata dei due corpi porta alla morte del piccolo. Ciò significa che il corpo dl bambino è stato sino a quel momento sede di percezioni di vita proprio in quanto a contatto senso-motorio della madre.

Infine durante la fanciullezza la propria identità del soggetto ne guadagna, specialmente se il ricordo degli episodi associati alla musica offrono un senso di soddisfazione e di orgoglio.

Bisogna aggiungere che la musica associata a episodi tristi o drammatici viene in genere respinta e se non si può evitare, le note e le eventuali parole o versi dei quali la canzone è composta riescono ad impadronirsi del nostro mondo interiore modificandoci il tono dell’umore.

In generale la complessità della musica può essere paragonata ad un dialogo, ad una sorta di conversazione emotiva inconscia svolta come da interlocutori che il nostro mondo interiore ospita e che influenzano la nostra mente, cioè l’istanza dell’Ego, (io esisto, io faccio, ecc).

Ennio Morricone il grande musicista e compositore scomparso da poco rappresenta a mio avviso l’esempio di una formidabile capacità interiore di dialogare e conversare usando il linguaggio delle note musicali.

Le numerose colonne sonore che hanno accompagnato e sostenuto i film dei quali il grande Maestro si è occupato e che ha curato con amore e competenza risuonano come interpretazioni di dialoghi e conversazioni. La sua musica spesso ha completato e valorizzato profondamente la psicologia dei personaggi e delle azioni interpretate dagli attori. Le scene dei vari film curati dalla musica di Morricone parlano in verità allo spettatore di un racconto emotivo tanto incisivo quanto variegato e interattivo che permette di aggiungersi a quello raccontato dal regista sugli stessi personaggi dei film: tanti altri interlocutori emotivi che sono in noi senza che ce ne accorgiamo coscientemente, si attivano all’ascolto delle varie sinfonie. Queste ultime equivalgono a emozioni che risuonano e funzionano come personaggi che si muovono nel profondo di noi e influenzano l’Ego ed è per questo che ci commuoviamo. Ecco il motivo per il quale certi film sono ricordati più per le colonne sonore che li accompagna (soundtracks) che per i contenuti del racconto. Non manca certamente l’originalità della sceneggiatura e scenografia, ma spesso ciò che ci giunge nel profondo è il dialogo emotivo e musicale che configura e fa risuonare una certa significativa situazione psicologica.

Molti psicoanalisti hanno suggerito che l’ascolto analitico del paziente in seduta dovrebbe assomigliare all’ascolto di un brano musicale così come si ascolta una sinfonia di Johann Sebastian Bach o di Ludwig van Beethoven, ecc. Ciò perché lo psicoanalista esperto dovrebbe ascoltare e assorbire il dialogo dgli interlocutori interiori sia del paziente, sia di se stesso e con questi interagisce per portare una situazione psichica complessa e conflittuale verso un’armonia.

In Ascolto e Ostacolo di F. Petrella, l’autore chiarisce le similitudini dell’ascolto psicoanalitico e la musicalità delle parole pronunciate nelle sedute.

Come scrive Cinzia Carnevali, la musica è l’arte più idonea a metterci in contatto con aspetti emotivi profondi, sconosciuti anche a noi stessi.

 Il modo di vivere e rielaborare le emozioni, infatti, cambia anche a seconda dell’esperienza vissuta e dei propri anni che crescono.

La musica può far piangere perché è complessa, come l’oscillazione delle varie nostre emozioni.

In sintesi, da un punto di vista psicoanalitico se la musica permette di comprendere con maggior flessibilità il linguaggio delle parole, la qualità dell’ascolto del paziente deve assomigliare a quello di alta musica per poter cogliere il significato emotivo della relazione della relazione analista-paziente.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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