In che modo la psicoterapia psicoanalitica si prende cura della persona? di Roberto Pani

In che modo la psicoterapia psicoanalitica si prende cura della persona? di Roberto Pani

Quali sono i fattori terapeutici in uso con i quali la tecnica psicoanalitica, originariamente creata da Sigmund Freud, opera?

La psicoterapia psicoanalitica, oggigiorno così tanto evoluta, si rivolge a sintomi psichici e somatici del paziente, cioè ai suoi disagi più o meno severi della corporeità e della mente psichica, e osserva e ascolta con più strumenti conoscitivi come queste sofferenze siano la conseguenza di cause complesse che sono depositate nel passato più o meno recente o remoto.

Accade che il paziente lamenti e raccontando certe sgradevoli situazioni,  soltanto attraverso segnali del corpo che si ripetono cronicamente senza mai trovare soluzioni terapeutiche cosicché tale prigionia segue una sorta di coazione a ripetere nella vita di chi soffre causando difficoltà nella sua esistenza. Freud supponeva che tale schiavitù avesse un senso così come la stessa coazione a ripetere si esprimeva probabilmente in modo non conscio perché in realtà apparteneva al regno dell’inconsapevolezza. Sappiamo oggi che questo mondo inconscio precede la nostra vita psichica cosciente sin dopo la nascita; ma già prima di venire alla luce alcuni fenomeni sensoriali, secondo studiosi come M. Mancia[1], sono presenti nel feto e riguardano la relazione precoce con una parte della madre, il seno e poi con la madre intera della quale il feto percepisce già il timbro della voce, odori, sapori e altro.

Gli incontri che il neonato fa con il seno materno, la madre o il padre e le tantissime figure che con il tempo incontrerà andranno a costituire il vissuto del bambino, nonché con il tempo dell’adulto. Come spiegare che cosa intendiamo per vissuto?

A mio parere si può dire che vissuto sia costituito da presenza psichica di immagini e voci interiori che a livello non cosciente parlano al soggetto, cioè si riferiscono alla istanza Ego che significa sentire noi stessi in prima persona. In altre parole l’Ego è il protagonista che sente, agisce, si confronta con il mondo reale e cosciente.

L’Ego deve gestire ogni input interno ed esterno continuamente e in futuro tale istanza cercherà di integrare tutte le voci interiori che derivano da ciò che il soggetto ha colto dalle sue esperienze passate. Si tratta di stimoli che incorporati sin dai primi istanti di vita e poi sintetizzati tra loro, funzionano nel teatro interiore come personaggi che condizionano in noi le impressioni incamerate modificando il nostro stato d’animo.

 Tali personificazioni mentali ci parlano dentro come interlocutori dell’Ego e del Self, (l’insieme integrato della mente e della corporeità). Diversi caratteri emozionali vengono interiorizzati e metabolizzati dal soggetto e tradotti nel nostro palcoscenico interiore in diversi personaggi con cui l’Ego si troverà a contatto e gestire emotivamente i modelli che le persone incontrate offrono: questo è a mio parere il vissuto che ogni soggetto ha di se stesso e del mondo nel quale vive e interagisce. Vale dunque il meccanismo della assimilazione e accomodamento descritto dal J. Piaget (1971)[2] secondo il quale le impressioni emotive che certe persone offrono di sé al soggetto vengono introiettate e incorporate e tra loro per poi costruirsi una media di colori emotivi. Per esempio, una maestra elementare severa e giudicante verrà mediata con un’altra maestra dal carattere dolce e conciliante. Ne risulterà un’immagine femminile di una maestra disposta a giustificare, ma anche severa in certe occasioni e così via.

Il vissuto di se stessi innanzitutto e delle cose del mondo circostante, deriva da questi contatti e l’esperienza si arricchirà continuamente diventando più complesso e ricco di sfumature e le impressioni tra loro troveranno altri accomodamenti e quindi per tutta la vita aumenteranno i personaggi interiorizzati che ci parlano dentro.

Il vissuto quindi appartiene al mondo interno inconscio cosicché non è controllabile dalla ragione cosciente.

Il mondo interno inconsapevole che Freud chiamava psichismo è governato dalla sensorialità, dalla pulsionalità biologica e ormonale, da fantasie inconsce, emozioni, sogni, tutto in base agli incontri del passato: tale parte di noi funziona senza una vera grammatica e sintassi, senza un senso del tempo e dello spazio logico e razionale. Il lavoro analitico è orientato a cogliere e tradurre il dialogo intra-psichico tra l’Ego cosciente e i suoi interlocutori inconsci. Le Neuroescienze continuano a fornire contributi alla psicoanalisi e comprendere come i neurormoni che sono anche trasmettitori possano condizionare le dinamiche psichiche in una prospettiva corporeità-psiche.

Fattori terapeutici

Rapporto umano ed empatico. La relazione se sufficientemente empatica favorisce nella coppia paziente e psicoanalista un buon inizio del lavoro psicologico che si farà insieme: si tratta da parte del paziente di un sentore di accoglienza, di tipo materno, di sentirsi compreso sin dall’inizio nelle proprie corde affettive profonde, al di là della razionalità.

Interpretazioni e ricostruzioni – costruzioni analitiche

La storia del paziente viene interpretata e ricostruita nella sua essenza con l’evolversi delle sedute: si crea un contesto più chiaro sul senso dell’ esistenza del paziente che permette di orientarsi su alcuni presupposti di base. Alcune coazioni a ripetere si evidenziano maggiormente e permettono di trovare con più precisione le connessioni con eventi significativi al fine di permettere il riconoscimento di se stessi e di come noi funzioniamo.

Interpretazioni di transfert

Non sempre è opportuno interpretare quei sentimenti e quegli affetti inconsci profondi del paziente quando lo psicoanalista si accorge che sono proiettati e calati su di sé. Questi affetti non sempre sono solo positivi ma è più probabile che siano ambivalenti. La sensazione inconscia o anche parzialmente cosciente di dipendere dall’analista, seppur non reale, può generare rabbia, protesta e ribellione e attivare inconsciamente associazioni con altre figure del passato dalle quali si dipendeva impotenti. In alcuni casi, il transfert è bene che sia interpretato per sciogliere quella resistenza che blocca il percorso e differenziare la fantasia proiettata sull’analista dalla situazione reale che riguarda invece il passato.

La dipendenza è soltanto provvisoria e strumentale non reale e naturalmente l’analista non giudica.

 Inoltre l’errore del comportamento del paziente per la psicoanalisi non esiste. Perché?

Molti pazienti all’inizio di una psicoterapia analitica sentono prevalente in loro un vissuto potente di giudizio severo da parte dello psicoanalista.

In realtà non soltanto lo psicoterapeuta si astiene, oltre mantenere l’assoluta riservatezza dal punto di vista professionale, ma anche l’unico interesse di chi ascolta e osserva non può che essere comprendere i fini psico-dinamici di certi sintomi.

 Non interessa minimamente allo psicoanalista giudicare su ciò che è giusto o sbagliato, perché è il senso che sottosta gli stessi sintomi sui quali egli sintonizzato.

Gli errori di per sé non esistono perché ciascuna persona ha ragione nel suo comportamento e nei suoi moti psichici interiori. Il paziente è dominato dai suoi impulsi, dalla sua ingenuità, dall’idealizzazione, dalla non conoscenza, dalla sua non coscienza, dalla mancata educazione, dalle circostanze, dalla sua giovane età, ecc.

Il lavoro analitico mentre rivela ciò che è attivo nel mondo interiore conduce a scoprire continue alternative e nuovi punti di osservazione che permetterebbero di evitare ciò che ha causato inconvenienti e sofferenza e dolore quindi di comportarsi in modo più vantaggioso dopo aver metabolizzato le esperienze che hanno condotto in strade senza sbocco.

Si può dire che il transfert sia il mezzo con il quale il paziente destina sentimenti ed affetti che sono stati rimossi e quindi non riconoscibili e non esprimibili, per cui sono agiti nel trasferirli sull’analista: in fondo li destina di tenerli con sé, cioè nel mondo interno. 

Raccontarsi in analisi può essere un piacere, ma mentre si verbalizzano il racconto di sé ci si accorge, da un lato di certe difficoltà perché sono in primo piano i sentimenti scomodi, dall’altro si acquista coscienza e valutazione delle proprie difficoltà obiettive e soggettive mentre si espongono e si verbalizzano.

Ma raccontarsi favorisce anche l’autoascolto che è potenziato perché c’è la testimonianza positiva dell’analista.

Lo psicoanalista che si prende cura è di per se stesso un atto positivo dove si sente di essere profondamente ascoltatiIl silenzio in analisi è spesso mal tollerato dai pazienti perché è interpretato come un esame dove appare da parte dell’analista un immotivato giudizio severo. Inutile dire che sono gli interlocutori interni del paziente che entrano in scena e che creano angoscia in lui. In tal caso questi personaggi sono ospiti inquietanti nel mondo interno del paziente. (U. Galimberti)[3]

Invece il silenzio indica soprattutto ascolto profondo sia da parte del paziente che da parte dell’analista, come spazio interiore condiviso e dove vige la comprensione e mai il giudizio severo. Il silenzio inoltre è parte del discorso dinamico che prevede un sentire le proprie parole i i propri pensieri e inoltre aiuta ad abituarsi ad allargare lo spazio interiore dove le cose possono stare e non essere sempre rigettate impulsivamente fuori dasè

  Il setting rappresenta l’ambiente fisico, lo studio dello psicoanalista che tende a rimanere sempre lo stesso che è la variabile dipendente, cioè indica un punto fermo. Il setting rappresenta anche la situazione psicologica ed emotiva che per il paziente potrebbe suonare come domestica e affettiva e per questo rassicurante.

Ricordare eventi significativi ed eventualmente traumatici significa comprenderli nei suoi molteplici aspetti e anche se dolorosi è senz’altro meglio guardarli insieme a chi è lì per condividere e aiutare piuttosto che tenere i ricordi alle proprie spalle.

Il potenziamento dell’insight o introspezione avviene in virtù delle continue associazioni e connessioni con eventi recuperati dal passato inconscio e ricordati. Questo continuo riconoscimento del materiale psichico per associazione potenzia l’intelligenza introspettiva e permette di migliorare il proprio punto di vista al di là del mondo cognitivo.

Una buona analisi implica anche una buona quantità delle metabolizzazioni che allargano lo spazio psicologico interno, migliorano l’autonomia del paziente, i suoi punti di vista e la sua maturazione: significa che il mondo infantile e adolescenziale si integra meglio con il mondo adulto e reale.

Il Self-disclosure che significa autorivelazione, si riferisce a quello svelamento che durante una psicoanalisi in corso l’analista può usare se stesso come esempio esprimere per aiutare a comprendere un certo meccanismo psicologico. L’analista in piena coscienza rivela informazioni su di sé superando per un attimo l’astinenza che consiste nello svelare se stesso e non intromettersi personalmente nel processo comunicativo. Questo auto-svelamento che avviene per favore il paziente nella comunicazione va considerato come un piccolo dono.

Infine, l’uso comunicativo delle Scene modello e durante il lavoro psicoanalitico sono state identificate e utilizzate dallo psicoanalista Lichtenberg a cominciare dagli anni 80 e costituiscono una modalità di rappresentazioni e di situazioni sceniche, spesso riferite all’infanzia e già utilizzate nella relazione duale tra paziente-psicoanalista.

Le scene modello sono immagini possono illuminare il senso delle motivazioni del paziente attraverso le scene che imprigionano nostri eventi psichici in una sorta di coazione a ripetere.

Come se fosse una fotografia consueta e familiare, permette di rivedere nel comportamento del soggetto in trattamento psicoanalitico qualcosa di costante.

Si tratta di possibili nuclei di base che tentano nella metafora al recupero rapido del passato è perciò a disposizione di entrambi i partner nella coppia psicoanalitica.

Si tratta di una modalità sia intersoggettiva che intrapsichica che genera complicità attraverso la quale avviene una specie di scambio di emozioni, di sensitività e sensorialità, di visualizzazioni di ciò che è accaduto nel passato e che risiede nella mente del paziente, ma ora anche in quella dello psicoanalista.

Le scene modello possono essere così repentinamente condivise e immaginate in concreto e utilizzate per fini costruttivi da i due partner nella coppia.

Ciò può incredibilmente aiutare l’analista a cogliere (intuis-legere) il mondo interno del paziente a proposito della dinamica che emerge, sia dai modelli introiettati e raccontati con esempi e citazioni, sia come parti autentiche e provenienti dal Sé. Userò il concetto di scena-modello di per descrivere il significato delle scene di un film e il loro uso in psicoterapia psicoanalitica.

In particolare, una scena-modello designa non soltanto una sintesi narrativa di una relazione conflittuale trascorsa, ma anche un episodio importante e incisivo della vita familiare o di persone significative che sono fortemente impresse nella memoria e possono essere vissute come un possibile inizio di una fase nuova nella vita del paziente.

La fragilità psichica condanna il Self (unità psiche-corporeità) non riesce a impedire molte infiammazioni e di conseguenza la nascita di molti sintomi tra i quali qualcuno segnala anche tumori.

La metabolizzazione graduale delle esperienze negative e traumatiche riesce a mantenere l’individuo sano e poco infiammato nel corpo e nella mente cosicché egli riesce ad essere non solo indipendente, ma anche autonomo e in grado di compiere scelte che siano congruenti con i propri autentici desideri.

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[1] Mauro Mancia, neurologo e psicoanalista pubblica con Bollati Boringhieri nel 2004 “Sentire le parole”

[2] …. L’assimilazione consiste nella capacità di selezionare e incorporare nuove esperienze e informazioni agli schemi già in possesso, mentre l’accomodamento è il meccanismo opposto, ossia la modificazione dei comportamenti e degli schemi cognitivi preesistenti in relazione al contesto circostante…  

[3] L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani (2007) Feltrinelli

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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