L’oro della psicoanalisi e il bronzo delle psicoterapie selvagge

L’oro della psicoanalisi e il bronzo delle psicoterapie selvagge

Nel 1918, in occasione del celebre intervento al Congresso di Budapest, Freud ebbe a pronunciare la frase che si sarebbe rivelata significativa e orientativa per il futuro: il fatto di alludere alla presenza di un’entità preziosa come l’oro, appunto, in contrapposizione al bronzo, come metallo assai meno di valore, che differenzia la tecnica psicoterapia psicoanalitica dal rischio di essere scambiata per interventi medicamentosi suggestivi e non risolutivi le patologie nevrotiche.[1]

Perché per Freud il metodo psicoanalitico è paragonabile alla preziosità dell’oro e invece le psicoterapie corrono il rischio di essere selvagge e destinate all’insuccesso della cura psicologica?

Il punto nodale è costituito dal fatto che la psicoanalisi mira al miglioramento psichico tramite un processo di autentica assimilazione (metabolizzazione) delle proprie esperienze passate, quelle che costituiscono il vissuto soggettivo di ogni persona e che una serie di fantasmi inconsci positivi, ma nel caso negativi, condannano alla cronica coazione a ripetere di essi, sia provocando sofferenza mentale e somatica, sia facendo compiere certe azioni impulsive e sconsiderate.

La cosiddetta guarigione psichica poteva per Freud considerarsi valida solo se il processo di cura avesse funzionato nel paziente come una sorta di stimolo alla maturazione psicologica e mai appunto come una sorta di suggestione proveniente dal medico. Certi interventi a quei tempi, come ancor oggi, quelli che prevedono di supportare il paziente con consigli, incoraggiamenti e seduzioni varie, erano da considerarsi per Freud ingannevoli e non avrebbero condotto a conclusioni efficaci della cura. Guarire psichicamente significa conquistare una certa autonomia interiore in virtù della quale i sintomi non hanno più ragione di esistere. Inoltre ciò è necessario perché se lo psicoanalista non entra profondamente tramite identificazione (introiettiva e proiettiva) nel mondo interno dell’altro con un particolare e attento ascolto interiore di Sè, la relazione psicoanalitica non raggiunge alcun risultato positivo nel senso di risoluzione definitiva. Ma l’ascolto dell’altro richiede una specifica preparazione professionale che, nel caso degli aspiranti psicoanalisti, impone un intenso trattamento analitico riservato proprio in primis a loro stessi. Il lavoro personalizzato rivolto all’aspirante ha finalità sia personali sia di training. Alla fine di tale delicata analisi personalizzata che ha come finalità quella d’impedire al futuro psicoanalista di confondere certe psicodinamiche personali con quelle del futuro paziente, sono necessarie supervisioni e seminari pratici e teorici per completare la formazione professionale.

Ciò che Freud non poteva sopportare, sin dall’inizio delle sue intuizioni cliniche, riguardava l’apparente, ma falso, miglioramento dei sintomi nevrotici nei pazienti: ciò poteva avvenire solo in virtù di un compiacimento strategico o di captatio benevolentiae che con blandizie varie e seduzioni venivano propiziati al paziente miglioramenti. In altre parole, la suggestione doveva essere rigorosamente bandita per non tornare dopo una provvisoria situazione di benessere alla situazione patologica precedente con il rischio di aver perso tempo e di cronicizzazione del paziente con nuovi sintomi.

Perché Freud era tanto ostile al metodo suggestivo nelle psicoterapie?

 Le sue raccomandazioni sono anche dovute ai suoi personali errori nell’aver analizzato malamente e in modo insoddisfacente i suoi stessi allievi: trattò i suoi giovani colleghi con analisi brevi e mirate sopratutto a insegnare loro la tecnica psicoanalitica. Lo stesso Ferenczi si lamentò del trattamento ricevuto troppo breve e incompleto.

Inoltre, nella storia professionale di Freud c’è una lunga esperienza che è all’origine della scoperta del metodo psicoanalitico come metodo di cura clinica: si tratta di un’esperienza connessa con la suggestione. La psicoanalisi infatti nasce dalle ceneri del metodo ipnotico e suggestivo che per questo viene strenuamente combattuto dopo le deludenti esperienze.

Già nel 700 il medico Franz Anton Mesmer cercò di usare l’ipnosi con fini clinici sottraendola dal mondo magico e mistico al quale era appartenuta sin da allora. Il medico tentò di associarla alla condizione fisiologica che implicava una caduta della coscienza del paziente per assorbire nuovi input che egli stesso ordinava secondo la volontà dello stesso paziente, ma il successo si rivelò solo provvisorio.

Il giovane Freud dopo la laurea, collaborava nello studio del suo amico e mecenate prof. Josef Breuer eminente neurologo a Vienna. Entrambi i colleghi neuropatologi erano interessati a curare le malattie nervose, in particolare l’isteria da conversione che negli anni dopo il 1880 in tutta Europa vittoriana imperversava ovunque. Anche se Breuer aveva già dal 1880 praticato un po’ con il metodo dell’ipnosi non aveva ottenuto alcun vero successo per risolvere i gravi sintomi psichici e somatici di questa nevrosi. Quando Freud iniziò a collaborare con Breuer si ebbe notizia che a Parigi, presso la prestigiosa clinica Salpetriere, il grande neurologo J.M. Charcot aveva sperimentato il metodo ipnotico con successo. Le pazienti in cura potevano, seppur per un breve periodo, far scomparire del tutto i loro sintomi. L’auterevolezza di Charcot, titolare della cattedra di malattie nervose, mostrava teatralmente come in tre fasi si poteva produrre uno stato ipnotico sonnambulico e far comparire certi sintomi persino in persone sane per poi farli sparire di nuovo. Tale stato ipnotico era preceduto, da una fase letargica e poi catalettica in forza della suggestione. Lo stato di letargia si otteneva per fascinazione o per compressione dei globi oculari attraverso le palpebre abbassate. Lo stato catalettico vedeva nella postura le membra immobilizzate. Lo stato sonnambulico infine consentiva al medico di imporre con la suggestione la sua volontà o meglio i contenuti che eliminavano i sintomi e si otteneva attraverso la fissazione dello sguardo. Freud visitò nel 1885 la Salpetriere per osservare per circa un anno il lavoro di Charcot. L’anno dopo tornò a Vienna da Breuer entusiasta dell’esperienza per proporre all’amico Breuer il programma terapeutico appreso dall’illustre collega parigino.

Purtroppo però la tecnica ipnotica non sortì alcun risultato soddisfacente. Lo stesso Breuer che invitava le pazienti ammalate di isteria già dal 1980 a distendersi su un sofà e procedeva con il metodo ipnotico secondo l’esperienza illuminata di Charcot, mediata da Freud del quale seguiva le istruzioni. Durante la fase sonnambolica induceva le pazienti a far scomparire i gravi sintomi: imponeva poi di dimenticare il procedimento ipnotico. Le pazienti al risveglio si sentivano sollevate dai sintomi e se ne andavano soddisfatte con la gratificazione di Breuer. Ma non passavano molti giorni per vedere le pazienti ritornare allo studio di Breuer devastate da sintomi e imploranti nel chiedere al medico di riprenderle in trattamento. Alcune lo abbracciavano come per sedurlo cosicché Breuer rimaneva sbigottito e si domandava cosa davvero queste pazienti volessero da lui. Il celebre caso di Anna O, (Bertha Pappenheim) ne fu un chiaro esempio.

In seguito, il metodo a suggestivo e non l’ipnosi venne indicato a Freud dalla scuola di Nancy dall’anatomopatologo H. Bernheim. Tale fenomeno accettava che un desiderio di coscienza del soggetto potesse essere imposto dall’esterno per azione del medico stesso o anche da altre persone, o anche da fatti e situazioni non vagliate da un esame di realtà e quindi acriticamente, ma non tramite l’ipnosi.

In altre parole, secondo Bernheim per guarire l’isteria non ci sarebbe stato bisogno di usare la tecnica ipnotica perché era un’espressione diretta ed estrema della suggestione, ma sarebbe bastata quest’ultima che si otteneva nel paziente grazie a una semplice induzione a rilassarsi e a raccontarsi. La tecnica del rilassamento avrebbe consentito al paziente di rievocare ricordi che erano stati imprigionati e quindi inespressi a livello di coscienza.

Breuer e Freud decisero così di adottare un metodo detto abreativo, cioè catartico-liberatorio che consentisse alle pazienti isteriche di liberarsi da una sofferenza dovuta a un probabile trauma emotivo represso.

Sempre coricate sul lettino al crepuscolo, le pazienti erano incoraggiate anche dalla mano che Breuer poneva sulla loro fronte associando anche una leggera pressione su di essa. Le pazienti erano poi incoraggiate a raccontare al medico posto dietro le spalle, ciò che passava loro per la mente. Questo metodo dello spazzacamino, (chimney-sweep) dava risultati di benessere momentaneo delle pazienti.

La situazione ripetuta svariate volte, purtroppo non si rivelava stabile e regrediva ai sintomi antecedenti la cura.

Freud che osservava con grande attenzione e partecipazione alla sperimentazione della cura, dopo questo ultimo insuccesso, aveva già maturato un’ipotesi su ciò che era accaduto alle pazienti sofferenti, e espresse a questo punto la sua intuizione che si sarebbe rivelata nel tempo tanto giusta quanto rivoluzionaria.

Si trattava di comprendere quali affetti durante la cura abreativa si trasferivano sul medico che si prendeva cura delle pazienti, affetti che generavano dipendenza dal medico stesso.

Eventi accaduti nel passato probabilmente traumatici trovavano una nuova edizione nella figura curante sulla quale tali affetti si trasferivano. Tale evento psichico che fu chiamato transference, ossia traslazione o transfert, e si ripeteva come coazione in modo del tutto inconsapevole, cioè inconscio.

In tal caso si comprese che la dipendenza che le pazienti mostravano di sperimentare verso il medico erano tanto importanti quanto utili essendo la chiave della patologia nevrotica dell’isteria. Si trattava quindi di interpretare opportunamente e con delicatezza tale dipendenza e poi scoprire la connessione che tale dipendenza poteva avere con persone, cioè figure, che nel passato delle pazienti avevano ricoperto un ruolo importante. Tali figure a livello inconscio erano probabilmente state vissute in modo ambivalente e conflittuale e la fissazione inconscia ad esse non era risolvibile se non trattate analiticamente. In realtà la dipendenza dal medico non era considerata come autentica, ma un epifenomeno di una dipendenza già pre-esistente che si sarebbe risolta e digerita con la cura stessa interpretando le connessioni inconsce con il passato che si ripeteva nella situazione di cura, (setting).

L’amicizia e collaborazione con Breuer si concluse con la pubblicazione del libro del 1886 Studi sull’isteria che porta come primo nome quello dello stesso Breuer e poi quello di Freud.

Passarono diversi anni di studio durante i quali Freud, dopo la morte del padre Jacob, (1896) si mise in discussione cercando nel vissuto del suo passato grazie a un amico medico chirurgo a Berlino, W. Fliess con il quale intrecciò una quotidiana corrispondenza. Durante questi anni tra pazienti in cura e personale rievocazioni vagliate insieme all’amico comprese molti dinamiche interiori di se stesso e comprendendoli, si allontanò definitivamente da ogni tipo di intervento suggestivo e si convinse sempre più della necessità di curare con il metodo psicoanalitico da lui sempre più perfezionato. Nel 1899 uscì il primo libro psicoanalitico di Freud, Interpretazione dei sogni, con il quale descrisse le modalità di funzionamento psichico del mondo inconscio contrapposto a quello cosciente.

La psicoanalisi da allora è infinitamente progredita grazie a innumerevoli contributi scientifici tra i quali quelli delle neuroscienze. Ma ancora oggi una certa parte dei pazienti si rivolge allo psicoanalista non conoscendo cosa aspettarsi e non immaginano, né domandano di essere aiutati a diventare più interiormente autonomi e più coscienti di se stessi. La domanda inconscia pur comprensibile, rimanda alle previsioni di Freud del 1918 che prevedeva da parte dei futuri pazienti il bisogno urgente di trovare chi suggerisca cosa fare. Molte persone per esempio, chiedono dopo il primo colloquio se io pratichi anche la tecnica ipnotica. Tale richiesta è scoraggiante per uno psicoanalista perché certo non riguarda il proprio lavoro.. Certo che tale domanda indica che il bisogno vero è quello di mettere tutto se stessi nelle mani dell’altro: rimanendo passivi queste persone vorrebbero metaforicamente consegnare la propria testa al meccanico della psiche e venirsela a riprendere come una automobile, quando questa è stata aggiustata.

Il bronzo di una buona parte delle psicoterapie che non fanno leva non sulla metabolizzazione delle esperienze, non allargano lo spazio psichico interiore e la padronanza di Sé, ma utilizzano la suggestione è purtroppo nella nostra società prevalente, così come previsto da Freud.

Oggigiorno nella migliore delle ipotesi certi interventi cosi detti strategici sono basati su protocolli che non richiedono di pensare, ma solo di eseguire il compito al fine di decondizionare i sintomi fastidiosi.

[1] In Vie della terapia psicoanalitica Freud scrive: … è molto probabile che l’applicazione su vasta scala della nostra psicoterapia ci obbligherà a legare il puro oro dell’analisi con il bronzo della suggestione diretta (OSF, 9, p.28).

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
__________________________________________

E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

Rispondi

WP to LinkedIn Auto Publish Powered By : XYZScripts.com