L’uomo che verrà

L’uomo che verrà

Nel 28/29 Settembre e 5 Ottobre del 1944 presso Marzabotto, Monzuno, Morandi, Grizzana vicino a Monte sole a Bologna, il feder-maresciallo delle SS Albert Kesselring faceva sterminare 1800 abitanti antinaziste.

Martina, una bimba di una famiglia di contadini, aspettava un fratellino che la madre partorì proprio quella notte del 28-29 Settembre a Marzabotto.

Il film, L’uomo che verrà diretto da Giorgio Diritti del 2009, inneggia alla speranza di un mondo nuovo.

Durante l’attuale pandemia mi è venuto in mente pensando alle nostre vittime che silenziosamente sono decedute e che in numero già sono molte di più: sembra una finta, come impossibile, ma è una realtà attuale.

Quale futuro ci aspetta?

La fase 2 prospettata dal nostro Governo precede con una ripresa di alcune attività aziendali, escludendone altre cercando di provvedere al distanziamento totale.

Le aziende finalmente sarebbero pronte a organizzare gli spazi dovuti a ospitare i lavoratori mantenendo la distanza di più di un metro. Sembra più difficile per i mezzi di trasporto, bus, tram, metro e treni.

Gli anziani dai 70 anni in poi potrebbero uscire dalle ore 10:30 del mattino e rientrare entro le 18:30. Trovo questa ultima iniziativa demenziale, perché antidemocratica se non razzistica e comunque controproducente.

Spero che non venga attuata.

E’ noto che gli anziani che sono infermi sarebbero i primi a non uscire perché non se la sentirebbero o avrebbero prescrizioni mediche adeguate.

Ci sono anche anziani che avrebbero buoni motivi per uscire, proprio in quelle ore del giorno, per i cani da passeggio o altri motivi, tra i quali alcuni che riguardano la salute stessa.

Bisogna inoltre ricordare che molti anziani in questi due ultimi mesi di contenimento sociale sono tra quelli che hanno sofferto di più la permanenza negli alloggi (per motivi che ho spiegato in questo blog), specie in case piccole con molti familiari, anche loro costretti a non muoversi. Ci sono poi anziani che vivono soli e che si autogovernano e che non vedono l’ora di uscire di casa per fare spese particolari secondo e particolari abitudini, per passeggiare nei parchi e muovere i muscoli.

Con il moto invece gli eventuali male umori svaniscono e il corpo si rimetterebbe in moto.

Ma quel che non si considera è che la maggior parte degli over 70 è coscienziosa, e in perfetta salute, e che non ha alcun bisogno, né di alcune protezioni, né per questo stare a casa, perché sentirebbero ancora una volta il sacrificio di una repressione forzata.

Speriamo comunque che l’apertura delle case al lavoro e alla tendenza verso una vita normale non porti ad alcun focolaio infettivo di ritorno e a un continuo progresso con l’aiuto anche di fortuna stagionale.

Penso che la maggior parte, se non tutti gli italiani, abbiano buon senso e che comprendano sulla base delle informazioni che sono circolate in queste settimane che la distanza sociale il più possibile abbondante e il lavaggio frequente delle mani siano atti da non dimenticare mai in qualunque momento.

Il rischio che vedo riguarda quelle persone costantemente distratte. In buona fede, queste possono dimenticarsi di avvicinarsi all’altro con cui stanno parlando, prese dall’entusiasmo di rivedere uno tra i vecchi amici da molto tempo, ecc..

Penso comunque che il virus, dittatore spietato e viscido con il quale abbiamo a che fare, voglia convivere con noi per almeno due anni per una ragione o l’altra.

Saranno all’ordine dei prossimi giorni e mesi.

Cosa ci può aiutare ad accelerare la normalizzazione sociale?

Il virus è composto da particelle formate da frammenti di materiale genetico acido ribo nucleico all’interno di un involucro che contiene proteine, circondato da un ulteriore membrana.

Come per tutte le infezioni virali, anche nel caso da infezione da coronavirus, il sistema immunitario produce anticorpi. Alcuni di questi anticorpi, che si chiamano IgM, sono prodotti all’inizio dell’infezione e rimangono per circa 5 giorni dopo la comparsa dei sintomi fino scomparire dopo qualche settimana.

Altri anticorpi, IgG, sono prodotti dopo 15/20 giorni dopo la comparsa dei sintomi e permangono poi per molto tempo.

Il tampone completo è un esame diagnostico complesso finalizzato a individuare la presenza del virus nel materiale biologico prelevato nel naso e nella gola o anche basse vie respiratorie, che per mezzo di tecniche che amplificano il materiale genetico virale (RT-PCR). Se è positivo indica pertanto che si è in fase di infezione attiva e potremmo poi trasmettere l’infezione attraverso le droplets, goccioline di saliva, magari anche parlando o starnutendo e tossendo.

Se non si colora né la linea IgM né la linea IgG, probabilmente nel nostro sangue non ci sono anticorpi contro le proteine virali. In questo caso, è probabile che non abbiamo contratto l’infezione.

Se siamo all’inizio di un’infezione però il nostro organismo potrebbe non aver prodotto alcun anticorpo oppure non essere stati evidenziati. I soggetti potrebbero allora essere infetti ed anche contagiosi pur in presenza di un test negativo.

Si pensa come sistema di velocizzare i contagiati e preservare i non contagiati tramite un app per cellulare, disponibile a fine maggio.

Il modello europeo delineato dal Consorzio Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing consiste in un modello ibrido che sfrutta in parte una centralizzazione dei dati su un server e decentralizzazione sul dispositivo.

L’app memorizza in locale, sul dispositivo geolocalizzato, tutti i codici bluetooth degli altri dispositivi, dotati della stessa app (siano questi smartphone, smart watch o device stand alone come braccialetti). Sistemi di crittografia impediscono al codice l’identità del proprietario di quel dispositivo, ma tali codici sono registrati sul server. Le funzioni scattano quando un cittadino è riconosciuto come positivo dopo un test per il coronavirus. Se effettivamente il soggetto è positivo, l’operatore genera, con una diversa app, un codice con cui il cittadino può caricare su un server i dati raccolti dalla sua app. Qui c’è la lista dei codici bluetooth, anonimizzati, con cui è entrato in contatto.

Il server calcola per ognuno di questi codici il rischio che ci sia stato un contagio, cioè la vicinanza, tempo di contatto e quindi fa in modo che arrivi una notifica ai dispositivi di persone potenzialmente a rischio. L’app manda la notifica se riconosce il proprio codice tra quelli della lista di contatti arrivata dal server.

La notifica ha un messaggio deciso dalle autorità sanitarie e chiede di seguire un protocollo, cioè isolamento, contattare numeri di emergenza per eventuali tamponi.

Almeno il 60-70 per cento della popolazione è un numero necessario affinché l’app funzioni bene. E’ inoltre facoltativo che gli utenti scrivano informazioni importanti sulla loro salute, tipo malattie attuali e pregresse su un diario clinico per l’uso dei sanitari nel caso di bisogno.

L’uomo che verrà sara’ sempre più tecnologico e collaborerà con la scienza!

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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E tu come la pensi? Scrivimi un commento o inviami una domanda all'indirizzo roberto.pani@unibo.it...

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