L’intelligenza emotiva e l’introspezione viene mortificata dai comportamenti compulsivi

L’intelligenza emotiva e l’introspezione viene mortificata dai comportamenti compulsivi

1: L’introspezione

è un atto della coscienza che consiste nell’ascolto interiore e analitico del proprio mondo interno dove sono in primo piano fantasie, pensieri, emozioni, sentimenti, bisogni pulsionali e desideri. Inoltre, si considera un atto introspettivo la stessa attenzione alla propria sensorialità corporea, quella che può essere connessa con la psiche (somatopsichica e psicosomatica).

L’introspezione ha come fine il raggiungimento della coscienza piena e integrata della propria identità psico-corporea.

L’atto introspettivo pone l’accento all’interno del Self (insight) e si contrappone all’attenzione a ciò che è esterno a se stessi (extrospection) che a livello fisiologico corrisponde alla propriocezione, cioè alla percezione del proprio corpo nello spazio.

L’introspezione è una funzione dell’intelligenza emotiva che è governata principalmente dall’emisfero destro del nostro cervello e dalla corteccia prefrontale che svolge un’importante ruolo nelle funzioni cognitive ed emotive. L’area prefrontale è collegata con il sistema limbico che è un complesso di strutture encefaliche che presiedono le reazioni emotive nei processi di memoria e nell’olfatto.

Il sistema limbico si estende sulla porzione della corteccia cerebrale del lobo temporale e comprende fra l’altro l’ipotalamo, l’ippocampo e amidgala. Queste porzioni contribuiscono fortemente a stimolare la memoria emotiva e a preparare quelle reazioni che si connettono con il sistema endocrino: da qui partono i neurotrasmettitori del buon e cattivo umore, acetilcolina, gaba, acetilcolina, istamina, corisolo, norapinefrina. Tali neurormoni sono destinati a condizionare il tono dell’umore nel bene e nel male, serotonina, endorfine, dopamina, acetilcolina, gara istamina. 

Lo psicoanalista Ornstein descrivendo l’introspezione, parla della capacità di certe persone di assumere un vertice di tipo empatico e tentare di cogliere nel modo più coerente possibile l’esperienza soggettiva dell’altro. Queste persone sono predisposte a catturare perfettamente le emozioni e i sentimenti degli altri, sempre tenendo fermo e presente il vertice delle proprie prospettive. Sono infatti predisposti a percepire, intuire e raffigurarsi le modalità arcaiche delle possibili esperienze interne delle persone, non facendo con-fusione con le proprie, cioè separandole e differenziandole dai propri punti di vista personali e idee soggettive (egodistonia).

Quando lo psicoanalista Wilfred Bion parla di reverie intende uno stato mentale di contatto sia introspettivo sia di apertura alla ricezione di tutto ciò che proviene mediante l‘identificazione introiettava e proiettiva da un oggetto amato. Con la reverie la madre provvede al bisogno di amore e di comprensione del bambino, così come con il latte provvede al suo nutrimento. Si tratta di uno stato sensoriale materno di profondissima comprensione e contenimento dei bisogni primari del bambino.

L’identificazione proiettiva e introiettiva è una modalità arcaica di identificazione comunicativa primaria  attraverso la quale ad un oggetto ricettivo si trasmettono e si colgono emozioni e dinamiche di sentimenti non ancora definibili, né nominabili nemmeno dal soggetto che non è ancora in grado di distinguerle dal Sé primordiale.

Storicamente si potrebbe dire che già Socrate sosteneva che l’introspezione consistesse nella riflessione dell’anima umana su di Sé. L’uomo doveva curare l’anima: forse il filosofo evocava già la psicoterapia di oggi. Per il filosofo, tutto il sapere è vano se non è ricondotto alla coscienza critica del proprio Sè, che è un sapere del sapere. Conosci te stesso significa conosci di non sapere e quindi metti in discussione tutte le presunte verità intese come rigide dottrine, diremmo oggi come icone non movibili del pensiero. Per Socrate una vita inconsapevole è indegna di essere vissuta.

L’introspezione già a quei tempi significava rapportarsi alle varie voci interiori, a quel dialogo dell’anima con i nostri interlocutori interiori.

Sarà Agostino nelle Confessioni a riprendere questo modello di analisi della personale interiorità (de se ipso), trasmettendolo a gran parte del pensiero cristiano successivo.

Il filosofo francese Henri Bergson, Premio Nobel per la letteratura (1927), utilizzò il metodo dell’introspezione per studiare il fluire degli stati d’animo dall’uno verso l’altro, uno scorrere di istanti che segue il tempo autentico della coscienza e non quello spaziale dell’orologio che non distingue lo psichico.

Ai giorni nostri nel 1983, il contributo dello psicologo Word Gardner ha indubbiamente spianato il terreno per il successivo affermarsi dell’intelligenza emotiva come abilità di monitorare le emozioni e i sentimenti propri e altrui: egli considera l’intelligenza emotiva come un sottoinsieme dell’intelligenza interpersonale ed intrapsichica.

Giacomo Rizzolatti, neuroscenziato italiano, nel 1992 scopre l’esistenza di particolarissimi neuroni cosiddetti specchio, gruppi di cellule nervose che si trovano nelle aree cerebrali deputate ai movimenti e che si attivano quando si compie un qualsiasi gesto. La loro specialità consiste nel fatto che non solo si attivano nella persona che compie certi movimenti, ma anche in chi osserva quelle dinamiche e sembra che non possa far a meno di imitarle. Banalmente, pensiamo a chi sbadiglia, se e quando viene subito replicato da altri che sono presenti.

Osservando quello che fanno gli altri, dunque, abbiamo l’opportunità di percepire le loro intenzioni, scoprire emozioni, provare empatia, ma anche imparare certe abilità attraverso i modelli che vengono proposti.

Negli anni successivi la ricerca sull’intelligenza emotiva, o anche quoziente emozionale, hanno ottenuto grande attenzione dal mondo scientifico e da quello popolare.

Anche in Italia, dopo l’epoca fascista, alle fine degli anni 40, grazie agli psicoanalisti Cesare Musatti e Servadio Emilio, la psicoterapia psicoanalitica si è diffusa rapidamente proprio impostando il metodo di cura sull’intelligenza emotiva e sull’introspezione delle persone che quindi desideravano accettare e collaborare sull’esplorazione del proprio Sé durante il divenire del percorso che il trattamento psicoanalitico è in grado di offrire.

All’opposto del trattamento psicoanalitico, più recentemente si è anche diffusa la psicoterapia cognitiva e comportamentale la cui procedura è assai differente da quello psicoanalitico.

Ci domandiamo: come facevano le persone prima della tecnica Freudiana a organizzare il proprio mondo psichico nel caso ne sentissero sia il desiderio, sia la necessità?  Per quanto riguarda l’aspetto della condotta morale, certo con la confessione al sacerdote assolveva tale compito verso i fedeli.

Ma per il resto? L’abitudine di scrivere e annotare sul proprio diario personale era assai utile. Quotidianamente l’individuo si raccoglieva nella propria stanza e verso sera affidava al diario i propri intimi pensieri e gli eventi soggettivamente significativi della propria giornata, accompagnandoli da commenti che descrivevano i propri stati d’animo.

In tal modo le persone prendevano contatto con le proprie emozioni e sentimenti, dei propri giudizi, impressioni e cercavano di esprimere dubbi e incertezze e senza magari trovare esaurienti risposte. Il contatto con se stessi, con la propria identità era sempre in discussione e così si cercavano e valutavano soluzioni sul da farsi.

Grazie a tanti diari ritrovati su personaggi famosi siamo riusciti a sapere tanto di più su di loro sulla loro vita intima.

Queste persone usavano il diario perché dotate di un’intelligenza emotiva e introspettiva, sapevano di potersene giovare anche se non c’era uno psicoanalista che aiutasse loro nella ricerca che rimaneva ovviamente del tutto soggettiva e auto-referenziata.

Ho considerato che l’attore e in particolare l’imitatore è predisposto a funzionare in virtù della su intelligenza emotiva e in parte anche introspettiva.

L’attore infatti è portato a interpretare uno o più personaggi nel set: qualche volta interpreta se stesso e questo non vale. Ma quando si tratta di mettersi nei panni di un altri personaggi può compiere una metamorfosi trasformandosi in buona parte nell’altro ruolo che interpreta. Di questo altro deve saper cogliere tutte le sue caratteristiche e pensare come lui potrebbe pensare e funzionare negli atteggiamenti. Come può riuscirci?

Si tratta di fare una identificazione introiettiva e poi proiettiva con il personaggio che deve interpretare e mettere se stesso in primo piano, cioè far diventare protagonista uno dei personaggi interiori che sono normalmente latenti in tutti noi, perché essi sono per lo più inconsci e di conseguenza far recitare tale personaggio. Quel personaggio latente si è creato nel mondo interno dell’attore attraverso  una introiezione avvenuta in precedenza.  Grazie a questa esperienza  l’attore si sintonizza  con il personaggio introiettato che è compatibile con chi deve interpretare.

Questa è una predisposizione altamente introspettiva e indica una certa familiarità con il proprio mondo interno.

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2: Ma oggigiorno i giovani sono introspettivi?

Debbo dire che purtroppo lo sono molto meno di qualche annoi fa! Le ragioni di questa riduzione di insight sono tante. La scuola non prepara affatto ad un’educazione sentimentale, ad ascoltarsi e a riflettere su di sé, ma solo a conoscere materie molto pratiche e tecniche perché la società dei consumi richiede tale apprendimento. L’economia accompagnata dalla tecnologia valorizza solo ciò che si praticamente si può produrre.

Le patologie adolescenziali sono di tipo consumistico: le sostanze dopanti o passivizzanti, le compulsioni maniacali del tipo gioco d’azzardo, shopping compulsivo, vigorismo ginnico senza interruzione, incapacità di disconnettersi dal telefonino grazie ai soci che illudono di non sentirsi soli, l’uso di app per tutto…

I Social sono sempre in primo piano nei giovani e in molta gente di mezza età: tutti ormai tengono lo smartphone sempre in mano per poterlo consultare continuamente. I sentimenti di solitudine possono non essere percepiti, per rimaner latenti perché i ragazzi contano molto sui Social cioè su un’infinità di amici virtuali.

Molti giovani sono smarriti e cercano quale per loro potrebbe esser la strada di realizzazione, ma molti hanno perso la direzione della loro esistenza. Si tratta di una frustrazione esistenziale. Quei giovani cercano un proprio posto nel mondo. Certo il problema economico pervade tutti e quindi particolarmente i giovani che non riescono a identificarsi con il loro futuro.

La società ipermoderna ha cercato in tutti i modi di affermare un senso di piacere nella potenza economica e nel prestigio, nell’elettronica, ma ha dimenticato di riconoscere il motore principale della vita dell’uomo: il senso di Sé.

Dare un senso alla propria esistenza precede, e non segue, il principio di piacere o la volontà di potenza. L’uomo infatti ha bisogno di uno scopo che offra una direzione alla propria vita, ha bisogno del senso di Sé per essere motivato a realizzarsi. Se questo non si profila i giovani diventano nichilisti.

La psico-apatia, la noia e la depressione appaiono come moventi di gesti estremi che sono originate da un abissale vuoto di senso. Molti giovani non si sentono riconosciuti, né visti. Nasce in loro un grido che invoca ascolto. Se esso non viene riconosciuto il giovane nichilista non trova alcun dio a cui aggrapparsi.

ll concetto di morte di dio in Friedrich Nietzsche si sviluppa a partire dalla prima fase del suo pensiero. La morte di dio è il fatto storico che diventa una necessaria premessa alla possibilità di concepire il presente come valore in sé, libero da passato e futuro, eticamente immotivato.

Nel filosofo Arthur Schopenhauer questo fatto era implicito, anche se ormai assai visibile all’interno della stessa concezione dell’Ego; in Nietzsche la morte di dio genera sia meraviglia sia gioia: dio è morto e il nostro mare è di nuovo aperto, forse non ci fu mai un mare così aperto. Ma, per altro verso, questo fatto reca con sé  un senso di vertigine e di perdita insieme al dubbio che questo avvenimento recentissimo non sia stato ancora avvertito in tutta la sua gravità. Finché la morte di dio convive a lato delle grandi certezze della ragione ed è sentimento di pochi, tale evento psichico non sarà in grado di manifestare i suoi effetti devastanti, quelli che cominciano a farsi sentire allorché tale morte diviene fatto generalizzato e quindi normale e banale.

Allora la morte di dio, ammessa volgarmente, data per scontata, portata senza dramma, sprigiona tutte le sue conseguenze. Secondo Nietzsche, dio è stato ucciso nell’indifferenza e nella disattenzione con la furbizia e il compiacimento dell’uomo mediocre.

La nausea umana del vuoto non può essere vinta perché dio è morto senza alcuna tragedia nell’indifferenza più totale e così l’uomo liberatosi delle credenze ultraterrene non trova più la forza di vincere e rimane sempre sconfitto.

Il mondo perde la sua unità organica e lo stesso soggetto umano si eclissa divenendo qualcosa di non sostanziale, una formazione provvisoria e precaria, soggetta al conflitto delle varie forze biologiche. Allora il mondo si frantuma in preziosi pezzetti, la realtà si fa piccola e non collegabile. L’infinito non ci appartiene più; esso fa paura e stanchezza.

L’atteggiamento compulsivo dei giovani “tutto e subito” brucia il tempo e lo spazio, la grammatica e la sintassi del pensiero umano rivolto al mondo psichico interno e si schiaccia sul mondo dell’apparenza materiale,  dei quantitativi codici sociali e infine dei comportamenti compulsivi.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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