Giovani insicuri

Giovani insicuri

Da tempo si è diffusa l’immagine secondo la quale molti giovani sono più o meno terrorizzati dal vivere la realtà del mondo attuale.

In verità molti ragazzi temono di diventare protagonisti della loro vita perché ciò significa essere responsabili verso la società delle loro scelte e azioni.

Spesso alcuni giovani adolescenti-adulti si trovano a fare i conti con dinamiche psicologiche che hanno già sperimentato da bambini. Si tratta spesso di situazioni specifiche di un’epoca che probabilmente tutti noi abbiamo sperimentato: per esempio, l’epoca di quando avevamo raggiunto l’età di circa 1 anno di vita.

Immaginiamo ora un bambino di 1 anno alle soglie di una grande stanza attaccato alle gonne della mamma che si appresta a entrare in questo ampio spazio. Nel lato opposto di questa larga stanza lo zio del bambino con le braccia aperte invita affettuosamente il piccolo (che già è in grado di camminare), a raggiungerlo. La mamma al tempo stesso lo incoraggia a staccarsi dalle sue gonne e ad andare verso lo zio che lo attrae con gioia. Succede che il bambino potrà aderire all’invito solo se durante l’anno del suo sviluppo avrà introiettato un senso di fiducia sufficiente per affrontare lo spazio vuoto che separa la mamma dallo zio. Magari incomincerà a camminare, poi si fermerà a metà strada e indugerà con il dubbio consistente se tornare indietro o continuare verso lo zio.

In tal caso il piccolo, giunto a quasi metà dello spazio che intercorre tra i due adulti, si soffermerà a considerare se ritornare alle gonne della madre o invece farsi coraggio e proseguire verso la figura dello zio. Lo zio per quanto ric-onosciuto, non offre la stessa sicurezza della familiare e calda figura materna.

In un primo caso il bambino così detto insicuro, all’invito dello zio, non si staccherà dalle gonne materne perché non si fiderà ad affrontare lo spazio aperto che lo separano dallo zio, perché non si fiderà di se stesso, delle sue capacità di camminare, dello zio ancora un po’estraneo e della madre che, nel frattempo potrebbe andarsene e quindi abbandonarlo. Oppure in un secondo caso, nella migliore ipotesi potrebbe iniziare il cammino e poi nemmeno a metà della stanza, tornare indietro buttandosi addosso alla mamma.

Solo nel terzo caso il bambino sufficientemente sicuro di sé, si avventurerebbe verso lo zio, bruciando la distanza che lo separa dalla madre e staccandosi dalle gonne materne, andrebbe a farsi abbracciare dal caro parente. Solo pertanto nel terzo caso, cioè quando il bambino che ha introiettato il senso di fiducia in se stesso, sarà in grado di affrontare una nuova realtà e di padroneggiarla, vincendo le paure che ugualmente esistono interiormente e che prima ho citato.

Mi è capitato di vedere queste scene in numerose situazioni quando tanti anni or sono, facevo ricerche universitarie in asilo nido.

Allo stesso modo, in epoca di giovani ormai grandi, alcuni ragazzi in età-adulta si trovano di fronte a uno spazio che a loro pare svuotato che spesso rispecchia il loro vissuto del futuro, così come accadeva al bambino insicuro. Il futuro appare dominato da un mondo in competizione e dalla improbabilità di esercitare il lavoro desiderato perché la tecnica professionalizzante che i giovani dovrebbero imparare per lavorare richiede molta pazienza e al tempo stesso fiducia in se stessi.

Accade allora che in alcuni giovani prevalga un lento ritiro delle emozioni, un atteggiamento che li sottrare a ogni confronto con il mondo.

Il lento collasso della vita di relazione spinge i ragazzi a liberarsi definitivamente da ogni senso di responsabilità verso gli altri e a sconfinare verso stati di pseudo-libertà dove non ci appaiono regole da osservare.

Questi giovani sentono sparire le loro emozioni quelle che in genere esortano verso la conquista, ma sono catturati da stati di rinuncia alla responsabilità di scegliere. Predomina in loro quindi la passività e l’aggressività non espressa.

E’ come se questi giovani avessero bisogno di ritornare indietro e provare a livello emotivo quell’esperienza di attraversare metaforicamente la stanza per raggiungere l’obiettivo seducente che in verità è desiderato. A quei tempi, quel bambino non si sentiva di staccarsi dalle gonne della madre e se avesse incominciato a distaccarsene camminando per un poco, e fosse ritornato indietro anche per più di una volta quasi pentito di aver tentato un’impresa impossibile, forse avrebbe migliorato la sua autonomia. Quell’esperienza può essere infatti ritentata più volte nel tempo. Tornare indietro può costituire un primo passo rispetto alla totale rinuncia.

In effetti padroneggiare l’esperienza del mondo non sempre avviene durante lo sviluppo in modo congruente e rapido. In un mondo troppo ricco di messaggi  e gradini scivolosi, dettati da una finanza e da un’economia virtuale che assai velocemente cambia le carte in tavola risulta difficile.

Anche i valori connessi con gli investimenti che mirano alla sicurezza personale e collettiva appaiono alla gente spesso imprendibili.

Solo quando la fiducia è legata a un senso di solidità e di certezza si può in un secondo tempo accettare che tutto può essere relativo e illusorio.

In un teatro del mondo adulto del non possibile dove tutto è virtuale, ma anche revocabile, e anche dove l’identificazione con i modelli è inter-scambiabile, il vestito da indossare si rivela pesante.

Quei giovani adulti quindi non se la sentono di scegliere, perché l’impegno è un vestito pesante, ma preferiscono fuggire dall’oppressione verso un’apparente libertà e così provano a percorrere strade a zig-zag immaginando che si può sempre tornare indietro. Purtroppo, mentre quando si è piccini le opzioni possono essere diverse nel tornare indietro e il tentativo di crescere per tentativi e di prova ed errori ha il senso cognitivo di apprendere dall’esperienza, nei giovani di ormai trent’anni ogni i passi compiuto chiudendo gli occhi possono essere irrevocabili.

La libertà alla quale questo tipo di giovane ingenuamente si riferisce significa soltanto dis-impegno da tutte le aree della vita che li impegnerebbe come protagonisti.

Succede allora che la scarsa convinzione di seguire obiettivi e la bassa autostima genera noia, senso di vuoto in un mondo surreale, dove alcuni di loro non riescono a sentire se stessi.

Ecco che nasce un bisogno atroce di appoggiarsi e di dipendere da qualunque cosa che si ponga davanti come consolatoria.

A parte le dipendenze da stupefacenti, sono ben presenti in molti giovani le diverse compulsioni da cibo, da internet, da sport estremo, vigorismo, da shopping, da ludopatie, ecc

Il corpo poi esprime segnali che indicano ai giovani di non vivere in un mondo comune, ma di indossare un’identità provvisoria o che possiede cento diverse facce.

Il mondo della sessualità ormai sempre più fluido, imprendibile, ne può essere un esempio.

E’ così che altri sintomi di malessere che richiedono attenzione su di sé come ansia cronica e continua, insonnia, stato di apatia.

Inoltre il corpo può esprimersi con fobie sociali, attacchi di panico anche con agorafobia, ipocondria sono sempre più diffusi.

La fobia sociale che si manifesta come angoscia davanti all’altro o agli altri. Si fugge innanzi ogni raggruppamento di persone e anche di amici e si trova una sola o poche persone a cui ci si affida. Esporsi di fronte anche a un pubblico di coetanei scatena un’ansia incontrollabile, dispnea, senso di svenimento.

L’agorafobia riguarda un attacco di panico più o meno violento e improvviso quando si cammina soli nelle strade con un senso di smarrimento, di angoscia e senso di vertigine.

L’ipocondria si manifesta con un continuo bisogno di attenzione per i propri malanni del corpo che generano un’instancabile e perenne stato di pre-occupazione con il timore più o meno manifesto di morire.

Sin dai primi anni della scuola elementare, gli educatori scolastici e insegnanti dovrebbero porre il massimo di attenzione al comportamento dei bambini.

A contatto con i primi importanti compiti cognitivi e rapporti sociali più evoluti con i coetanei rispetto all’era dell’asilo di infanzia l’osservazione dovrebbe essere attenta.

La scuola può risolvere infiniti problemi psicologici dei ragazzi finché essi sono piccoli e malleabili. Anche certe difficoltà dei bambini non ancora disturbi, potrebbero trovare la loro origine in famiglia, non possiamo aspettarci che i genitori possano modificare il loro comportamento.

Quando i ragazzi sono grandi la situazione di sofferenza richiede uno specifico aiuto professionale.

 

 

 

 

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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